24 dicembre 2023 09:31

È difficile fare previsioni, specialmente sul futuro. Questa frase attribuita al premio Nobel per la fisica del 1922, il danese Niels Bohr, funziona ancora, soprattutto se pronunciata nel 2023, che nella sua fase finale ha riservato molte sorprese, quanto meno nell’andamento delle piazze finanziarie. Come scrive il New York Times, l’S&P500, l’indice delle cinquecento principali aziende quotate alla borsa statunitense, sta chiudendo l’anno a suon di record (ormai è quasi ai livelli del picco registrato nel gennaio 2022) dopo che la Federal reserve (Fed, la banca centrale degli Stati Uniti) ha dichiarato che nel 2024 potrebbe abbassare il costo del denaro, giudicando il problema dell’inflazione sotto controllo.

“Questi rialzi erano impensabili un anno fa”, osserva il quotidiano, quando a Wall street circolavano previsioni pessimiste e i mercati evitavano ogni investimento rischioso, alle prese con il forte aumento del costo del denaro, i timori di recessione e un’inflazione particolarmente testarda”. Ora invece un’ondata di rialzi ha coinvolto tutte le borse più importanti: sono ai massimi livelli anche le piazze finanziarie europee.

Un dato impressionante è quello segnalato dal Wall Street Journal, secondo il quale la valutazione di borsa delle sette principali aziende tecnologiche statunitensi (Apple, Microsoft, Alphabet, Amazon, Nvidia, Tesla e Meta) quest’anno è aumentata del 75 per cento e oggi rappresenta un terzo del valore complessivo dell’S&p500. Inoltre supera nettamente il valore di tutte le azioni quotate nelle borse di Giappone, Francia, Cina e Regno Unito. Gli investitori scommettono che l’inflazione non è più un problema, anche se la Fed, la Banca d’Inghilterra e la Banca centrale europea (Bce) cercano di spegnere gli entusiasmi, avvertendo che sono pronte a continuare con i tassi d’interesse alti.

Secondo alcuni osservatori, tuttavia, alla fine le banche centrali saranno costrette a ridurre il costo del denaro nel timore che l’economia registri un brusco rallentamento. I segnali che arrivano in questo senso sono tutt’altro che rassicuranti. Il Financial Times scrive che nella maggior parte delle economie avanzate l’aumento dei tassi d’interesse e la fine degli stimoli pubblici decisi in seguito alla pandemia stanno facendo crescere il numero di aziende fallite, che procede ormai a tassi a due cifre.

Negli Stati Uniti tra il settembre 2022 e il settembre 2023 i fallimenti sono cresciuti del 30 per cento. In Germania nei primi nove mesi del 2023 sono aumentati del 25 per cento, mentre il dato relativo all’intera Unione europea è del 13 per cento. In Francia, nei Paesi Bassi e in Giappone il tasso ha superato il 30 per cento. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), in alcuni paesi, tra cui la Svezia, la Danimarca e la Finlandia, la percentuale di fallimenti aziendali è superiore a quella registrata in seguito alla crisi finanziaria globale del 2008. In gran parte si tratta di aziende travolte dall’aumento del costo dell’energia e di altre imprese che in questi anni sono riuscite a sopravvivere grazie al credito facile e agli aiuti dei governi.

A tutto questo si aggiunge la crisi di una delle più importanti rotte del trasporto marittimo globale, quella che passa per il mar Rosso in direzione del canale di Suez, in particolare attraverso lo stretto di Bab el Mandeb, che divide le coste africane di Gibuti e dell’Eritrea dalla penisola Arabica e dallo Yemen.

Negli ultimi giorni molte grandi aziende, tra cui alcune delle più importanti compagnie che gestiscono navi portacontainer (la Cma Cgm, la Hapag-Lloyd, la Maersk e la Msc), hanno interrotto il loro servizio sul mar Rosso dopo che i ribelli yemeniti huthi, una milizia finanziata dall’Iran, hanno lanciato attacchi contro le imbarcazioni israeliane o di paesi legati a Israele. La loro azione ha costretto gli Stati Uniti a organizzare una risposta militare per ristabilire la normalità in una rotta vitale per l’economia globale: attraverso questo braccio di mare passa il 12 per cento del commercio globale e il 30 per cento del traffico di container, fa notare l’Economist. “Una chiusura prolungata della rotta verso Suez farà crescere i costi di trasporto, visto che le navi dovranno circumnavigare l’Africa”, con ricadute negative soprattutto per i prezzi dell’energia.

Il ritorno alla normalità si sta dimostrando particolarmente difficile

Ma come spiegare questa sorta di disconnessione tra la borsa e l’economia reale? Da mesi chi governa il mondo della finanza e dell’economia sta cercando di tornare alla normalità dopo anni di misure straordinarie. Si cerca di ripristinare i modelli consolidati dal tempo e dall’esperienza, cioè quelli basati sull’attento controllo dell’inflazione e sui limiti all’indebitamento dei governi, con l’obiettivo di evitare rovesci improvvisi e vertiginosi. Negli ultimi anni, a causa delle ricorrenti crisi scoppiate a partire dal 2008 (dal grande crollo finanziario fino alle tensioni causate dalla guerra in Ucraina e dallo scontro tra Israele e Hamas, passando per la pandemia di covid-19) sia le banche centrali sia i governi avevano abbandonato questi modelli: le prime abbassando praticamente a zero il costo del denaro per un tempo lunghissimo e i secondi aumentando i livelli del debito e del deficit pubblici fino a picchi inediti.

Il ritorno alla normalità si sta dimostrando particolarmente difficile: le banche centrali subiscono pressioni perché taglino il costo del denaro, mentre molti governi, soprattutto quello degli Stati Uniti e diversi dell’Unione europea, vogliono continuare a usare il debito per stimolare la crescita. Intenzione spiegabile con il fatto che nel 2024 ci sono importanti appuntamenti elettorali: si voterà per le presidenziali statunitensi, su cui incombe minaccioso il ritorno di Donald Trump, e per il rinnovo dell’europarlamento, dove i partiti nazionalisti cercheranno l’assalto definitivo al progetto comunitario.

Il 20 dicembre i ministri delle finanze dell’Unione europea hanno trovato un accordo per reintrodurre il Patto di stabilità e crescita, l’insieme di vincoli di bilancio dei paesi dell’area che era stato sospeso in seguito alla pandemia. Le nuove regole stabiliscono vincoli per ridurre i deficit e i debiti fuori controllo, ma lasciano ai paesi più in difficoltà (vedi Italia) più tempo e autonomia per riequilibrare i propri conti.

Come spiega Raghuram Rajan, ex governatore della banca centrale indiana e professore di finanza all’università di Chicago, “i politici di alcuni paesi industrializzati si sono convinti che non ci sia bisogno di tornare ai vecchi modelli. Pensano di poterli abbandonare con effetti vantaggiosi. Magari fosse così! È più probabile, invece, che prendano decisioni dannose, non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa, man mano che cercheranno di affrontare questioni come l’invecchiamento della popolazione, l’immigrazione e la crisi climatica, mentre il costo del debito assorbe sempre più risorse del bilancio pubblico”.

C’è chi fa notare infatti che questi rialzi clamorosi del mercato azionario e in genere di tutti gli strumenti finanziari più rischiosi, compreso il bitcoin, fanno calare i rendimenti dei titoli di stato sulle due sponde dell’Atlantico, una situazione che dà respiro ai paesi, come gli Stati Uniti, che negli ultimi anni si sono indebitati pesantemente. Si spera forse di tener lontani gli assalti nazionalisti e populisti nei due continenti agevolando la spesa dei governi in carica e rimandando il risanamento dei conti a dopo il voto? Un’impresa tutt’altro che semplice se i creditori ritireranno la loro fiducia. Le cifre in gioco sono imponenti: secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi) oggi i debiti pubblici dei governi di tutto il mondo ammontano a 97.100 miliardi di dollari, il 40 per cento in più rispetto al 2019. L’istituto prevede che nel 2028 si potrebbe arrivare al 100 per cento del pil globale.

Questo testo è tratto dalla newsletter Economica.

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