22 aprile 2024 12:42

Lo scambio di attacchi tra Iran e Israele non ha causato un’escalation, ma aggiunge incertezza a un quadro già molto complicato, perché dimostra che entrambi i paesi sono disposti ad alzare il livello dello scontro, a infilarsi nel tipo di situazione in cui un errore di valutazione può portare a una guerra aperta. L’Iran, che finora aveva sempre colpito attraverso le varie milizie alleate della regione, ha lanciato per la prima volta dei missili verso Israele. È un messaggio anche per gli Stati Uniti, che dovranno chiedersi con ancora più urgenza cosa fare per arginare la minaccia iraniana (mentre contemporaneamente cercano di far ragionare l’alleato israeliano).

I rapporti con l’Iran sono forse il maggior rompicapo di politica estera della storia recente americana, se si considera che le tensioni vanno avanti, con diversi gradi di intensità, da 45 anni. Per capire gli equilibri di oggi è utile uscire dalla prospettiva del breve periodo e andare più indietro, ripercorrendo la storia delle politiche statunitensi nei confronti dell’Iran. È una storia fatta di scelte palesemente sbagliate che producono effetti a distanza di decenni, di una scarsa comprensione della natura della società e del regime iraniano, di politiche contraddittorie adottate anche nel giro di pochi anni. Ho preparato una cronologia usando articoli usciti sulla Bbc e sul Council on foreign relations.

Agosto 1953 I servizi segreti statunitensi e britannici organizzano un colpo di stato per spodestare Mohammad Mossadeq, il primo ministro iraniano democraticamente eletto che aveva cercato di nazionalizzare l’industria petrolifera nazionale. Il colpo di stato riporta al potere la monarchia favorevole all’occidente, guidata dallo scià Mohammad Reza Pahlavi. Sotto le pressioni di Stati Uniti e Regno Unito, lo scià approva un accordo che dà alle compagnie petrolifere statunitensi, britanniche e francesi il 40 per cento della proprietà dell’industria petrolifera per venticinque anni.

1954 Stati Uniti e Iran firmano un accordo per lo sviluppo della tecnologia nucleare per scopi civili. L’accordo getta le basi per il programma nucleare iraniano e in seguito gli Stati Uniti forniscono a Teheran un reattore e uranio arricchito a un livello sufficiente per produrre bombe atomiche.

1972 Il presidente statunitense Richard Nixon va in Iran per chiedere allo scià di aiutarlo a proteggere gli interessi degli Stati Uniti in Medio Oriente, anche in opposizione all’Iraq, alleato dell’Unione sovietica. In cambio, Nixon promette che l’Iran potrà acquistare qualsiasi sistema di armamento non nucleare desideri. Grazie agli introiti della vendita di petrolio, lo scià riesce a costruire un grande arsenale di armi ad alta tecnologia.

16 gennaio 1979 Dopo mesi di manifestazioni e scioperi contro il suo governo, Mohammed Reza Pahlevi è costretto a lasciare il paese. Due settimane dopo l’ayatollah Ruhollah Khomeini, leader religioso sciita che si opponeva all’occidentalizzazione dell’Iran, torna nel paese dopo quattordici anni di esilio. Khomeini prende il potere come guida suprema a dicembre dello stesso anno, trasformando l’Iran in una teocrazia islamica fortemente antioccidentale e antiamericana. Khomeini afferma che cercherà di “esportare” la sua rivoluzione nei paesi vicini.

Novembre 1979 Un gruppo di studenti iraniani radicali prende in ostaggio 52 americani nell’ambasciata statunitense a Teheran, chiedendo agli Stati Uniti di estradare lo scià. Gli ostaggi vengono liberati dopo 444 giorni, con gli Stati Uniti che si impegnano a non intervenire nella politica iraniana. La vicenda contribuisce alla sconfitta del presidente Jimmy Carter alle elezioni presidenziali del 1980, vinte da Ronald Reagan.

1980 Dopo lo scoppio della guerra tra Iraq e Iran, che sarebbe andata avanti per otto anni, gli Stati Uniti sostengono l’Iraq con aiuti economici, addestramento e tecnologia.

1983 In un attacco in Libano muoiono 241 militari statunitensi. Washington, convinta che siano responsabili le milizia sostenute da Teheran, inserisce l’Iran nella lista degli stati che sponsorizzano il terrorismo.

1985-86 Gli Stati Uniti vendono segretamente armi all’Iran, in cambio dell’aiuto di Teheran per liberare gli ostaggi statunitensi detenuti dai militanti di Hezbollah in Libano. I profitti vengono illegalmente convogliati verso i gruppi armati di destra che in Nicaragua si oppongono al governo sandinista, creando una crisi politica per l’amministrazione Reagan. È lo scandalo Iran-Contra.

1988 Il 3 luglio la nave da guerra americana USS Vincennes abbatte per errore un volo dell’Iran Air nel Golfo, uccidendo tutte le 290 persone a bordo. La maggior parte delle vittime erano fedeli iraniani diretti alla Mecca.

1998-2000 Si svolgono i primi colloqui diplomatici importanti tra i due paesi. Gli Stati Uniti riconoscono il loro ruolo nel colpo di stato del 1953 e definiscono “miope” la politica portata avanti fino a quel momento nei confronti dell’Iran. Washington cancella alcune sanzioni internazionali contro l’Iran.

Il presidente statunitense Dwight Eisenhower (a sinistra) con lo scià Mohammed Reza Pahlevi, Teheran, dicembre 1959. (Ap/LaPresse)

2001 Dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre, l’amministrazione Bush collabora con gli iraniani per colpire i taliban afgani, nemico comune dei due paesi. La collaborazione si interrompe l’anno dopo, quando Bush inserisce l’Iran nel cosiddetto “asse del male”, con Iraq e Corea del Nord.

2003 Gli Stati Uniti invadono l’Iraq per rovesciare il regime di Saddam Hussein. Il governo di Teheran sostiene le milizia locali sciite che in alcuni casi attaccano le forze statunitensi. Nel 2019 uno studio dell’esercito americano concluderà che “l’unico vincitore” nella guerra statunitense in Iraq è stato l’Iran, uscito dal conflitto rafforzato e con ambizioni di influenzare la politica regionale.

Primi anni duemila Dopo che vengono rivelati i piani dell’Iran per sviluppare strutture nucleari, tra cui un impianto di arricchimento dell’uranio, comincia un decennio di attività diplomatica che non porterà risultati. Nel frattempo l’Onu, gli Stati Uniti e l’Unione europea impongono diverse sanzioni contro il governo del presidente ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad, mentre il regime iraniano inasprisce la retorica contro Israele.

2015 Dopo mesi di intensa attività diplomatica, l’Iran accetta di stipulare un accordo a lungo termine sul suo programma nucleare con un gruppo di paesi – il P5+1 – che comprende Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Cina, Russia e Germania. In cambio dell’alleggerimento delle sanzioni, Teheran accetta di smantellare il reattore nucleare di Arak, di consentire i controlli degli ispettori internazionali nei siti nucleari e di limitare l’arricchimento dell’uranio per almeno quindici anni.

2018-2019 Il presidente Donald Trump annuncia che gli Stati Uniti si ritireranno dall’accordo sul nucleare e attueranno una campagna di sanzioni per esercitare la “massima pressione” sull’Iran. Gli esperti di controllo degli armamenti e alleati europei condannano la decisione, mentre Israele e l’Arabia Saudita esultano. L’economia iraniana cade in una profonda recessione. Teheran risponde aumentando l’arricchimento dell’uranio e cercando di alimentare il caos nella regione, con attacchi a siti petroliferi, che fanno crescere il prezzo del petrolio, e abbattendo un drone statunitense sullo Stretto di Hormuz.

2020 Il 3 gennaio un drone statunitense bombarda l’aeroporto di Baghdad, uccidendo Qassem Soleimani, capo delle forze d’élite Al Quds dei Guardiani della rivoluzione iraniana. Trump è convinto che la morte di uno dei più importanti leader iraniani, insieme a sanzioni economiche sempre più severe, metterà in ginocchio l’Iran e costringerà il suo governo a negoziare un nuovo accordo sul programma nucleare che sostituisca quello firmato da Barack Obama. L’Iran risponde ritirandosi dall’accordo nucleare del 2015 e accelerando i suoi programmi militari.

2020-2021 Dopo l’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca c’è un tentativo per riportare in vita l’accordo sul programma nucleare, che però non produce risultati, anche perché nel frattempo le elezioni in Iran hanno premiato le forze più conservatrici. In questo contesto Washington porta avanti una serie di negoziati con alcuni paesi della regione, tra cui Bahrein, Egitto, Israele, Arabia Saudita, Giordania e Qatar per contenere e isolare l’Iran, che intanto sembra aver accumulato abbastanza uranio arricchito per alimentare una bomba nucleare (anche se la creazione di un’arma funzionale potrebbe richiedere mesi o anni).

2023 Washington autorizza Teheran ad accedere a beni e asset del valore di circa 6 miliardi di dollari che erano stati bloccati a causa delle sanzioni internazionali, in cambio del rilascio di cinque cittadini iraniani-americani detenuti in Iran. Ma i fondi vengono di nuovo bloccati dopo l’attacco di Hamas contro Israele, il 7 ottobre, a cui l’Iran avrebbe contribuito fornendo armi e addestramento. E nei mesi successivi milizie alleate dell’Iran lanciano decine di attacchi contro basi e avamposti degli Stati Uniti nella regione, fino ad arrivare al lancio di missili contro Israele in risposta all’attacco israeliano contro la sezione consolare dell’ambasciata iraniana a Damasco.

Quindi dopo il 1979 quasi tutti i presidenti statunitensi hanno adottato politiche per smussare il radicalismo del governo iraniano e limitare la sua influenza nella regione, con strategie diverse: i democratici convinti che coinvolgendo l’Iran a livello diplomatico, cioè offrendogli un posto nel mondo, si potesse ammorbidire la sua ideologia rivoluzionaria, e alla lunga portare i moderati al potere; i conservatori hanno puntato su un approccio più duro, basato principalmente sulle sanzioni economiche, sperando di costringere l’Iran a negoziare da una posizione di debolezza, o per causare l’implosione del regime.

Questi tentativi non hanno prodotto risultati perché si basavano su un’interpretazione sbagliata della natura del regime iraniano e dei suoi interessi. La Repubblica islamica, nata a partire da un’ideologia violentemente antiamericana, non ha mai voluto un posto in un mondo dominato dagli Stati Uniti; semmai vuole un mondo, o per lo meno un Medio Oriente, diverso. Allo stesso tempo le sanzioni da sole difficilmente funzionano, perché quello iraniano, come tutti i regimi autoritari, ha bisogno di un certo livello di isolamento internazionale.

Qualche anno fa Karim Sadjadpour, esperto di questioni iraniane, ne ha scritto sul New York Times: “La guida suprema Ali Khamenei sa che l’apertura del paese al resto del mondo potrebbe portare una concorrenza che minerebbe il sistema di spartizione delle risorse e del potere da parte delle élite economiche e militari”. La normalizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti e con Israele potrebbe rivelarsi quindi profondamente destabilizzante per un governo teocratico il cui principio organizzativo si basa sulla lotta all’imperialismo americano e allo stato ebraico. Aggiunge Sadjadpour: “Le politiche coercitive necessarie per contrastare le ambizioni nucleari e regionali della Repubblica islamica – cioè le sanzioni – hanno inavvertitamente rafforzato, non indebolito, la presa del potere del regime. Quando l’isolamento diventa troppo debilitante, Khamenei è disposto a prendere in considerazione un accordo tattico che permette all’economia di respirare. Vuole poter vendere il petrolio iraniano sul mercato globale senza sanzioni, ma non vuole che l’Iran sia pienamente integrato nel sistema globale. L’Iran non vuole essere la Corea del Nord ma nemmeno Dubai”.

Sadjadpour scriveva il suo articolo ad agosto del 2022, quando l’amministrazione Biden sembrava disposta a riaprire i negoziati sul programma nucleare di Teheran. Nel frattempo la situazione è cambiata molto in un modo che rende sempre più difficile un contenimento dell’Iran, per via della guerra nella Striscia di Gaza, che ha radicalizzato ulteriormente le politiche di Israele e Iran, e perché le milizie alleate di Teheran sono sempre più disinvolte nell’attaccare le posizioni americane nella regione. Ma anche perché intanto è cresciuto il fronte internazionale che si oppone apertamente agli Stati Uniti e aspira a costruire un ordine mondiale diverso. In questo nuovo contesto l’Iran può contare sul sostegno di Cina e Russia, grandi potenze interessate a limitare l’influenza degli Stati Uniti nel mondo, in passato non in buoni rapporti con Teheran

Questo testo è tratto dalla newsletter Americana.

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