03 agosto 2022 11:39

In Perù gli adolescenti cominciano a fumare, in media, tra i 12 e i 13 anni. Possono trovare le sigarette abbastanza facilmente: nelle tabaccherie, nei supermercati, ma anche ai distributori o nelle bodega (minimarket) a pochi metri da scuola. I pacchetti spesso sono esposti vicino alla cassa, sotto i lecca-lecca e le bibite, tra le gomme da masticare, le caramelle e le barrette di cioccolato. E di solito si notano, perché sono segnalati da locandine pubblicitarie, insegne luminose e annunci di sconti.

Non dovrebbe essere così. Un’inchiesta del sito peruviano Ojo Público pubblicata a giugno spiega che la legge limita la promozione dei prodotti del tabacco nelle vicinanze delle scuole e vieta la vendita ai minori. Il problema è che la legge è piena di difetti, e quindi facilmente aggirabile.

Il Perù non produce tabacco, ma lo importa soprattutto dal Cile e dal Messico. Anche se il consumo è più basso rispetto ad altri paesi, il mercato è comunque enorme: negli ultimi cinque anni nel paese sono stati spesi 86 milioni di dollari per seimila tonnellate e mezzo di sigarette e prodotti simili. La pandemia ha rallentato questo commercio nel 2020 e 2021, quando le importazioni sono diminuite di oltre la metà rispetto al 2019, ma nel primo trimestre del 2022 il settore ha recuperato.

Pubblicità ingannevoli
Visto che il numero di fumatori tra gli adulti sta calando, mentre quello tra i giovanissimi resta più o meno uguale, il caso del Perù insegna molto sulla responsabilità di aziende e rivenditori nell’iniziazione dei ragazzi e delle ragazze alle sigarette. L’Indagine globale sul tabagismo giovanile (Gyts), pubblicata nel 2020, stima che il 6,4 per cento dei peruviani tra i 13 e i 15 anni fumi regolarmente e il 21,1 per cento lo faccia ogni tanto. Quasi la metà dei primi acquista le sigarette nei chioschi, nelle bodega o dai venditori ambulanti, attirati dalla pubblicità tra gli scaffali.

L’industria del tabacco usa la pubblicità per creare la percezione che il consumo di sigarette sia diffuso e accettabile. Questi messaggi associano il fumare a qualità desiderabili, come la popolarità e il fascino. Lo scopo è non perdere consumatori, incoraggiare chi aveva smesso a riprendere e ostacolare chi vuole perdere il vizio. Soprattutto, questi messaggi servono a trovare nuovi fumatori per rimpiazzare quelli vecchi, sminuendo i rischi per la salute.

Per attirare i più piccoli le aziende puntano sugli aromi, che creano la falsa sensazione che fumare sigarette con un sapore meno forte faccia meno male

I rischi invece sono tanti. Tra i principali effetti nocivi sui bambini e gli adolescenti, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) cita l’asma, l’ostruzione delle vie aeree e i danni ai polmoni, il calo delle prestazioni fisiche e della resistenza. Queste patologie, aggiunge l’articolo, possono poi provocarne di più gravi, come problemi nello sviluppo cerebrale, tumori ai polmoni, ictus o infarti.

Oltre alla pubblicità, per attirare i più piccoli le aziende puntano sugli aromi, che creano la falsa sensazione che fumare sigarette con un sapore meno forte faccia meno male. Questa strategia non è nuova. “È risaputo che agli adolescenti piacciono i gusti dolci. Si potrebbe prendere in considerazione il miele”, si legge in un rapporto del 1972 della Brown & Williamson tobacco corporation, che distribuiva i marchi Lucky Strike e Pall Mall fino al 2004. La Philip Morris, che commercializza il marchio Marlboro, raccomandava in un documento del 1992 l’uso di aromi come melone, Coca-Cola, piña colada e arancia. Sapori che generano “una forte curiosità, trasversale ai due sessi; i giovani adulti fino ai trent’anni hanno espresso lo stesso livello d’interesse”.

Ojo Público ha contattato sia la Philip Morris sia la British american tobacco (Bat), che oggi possiede i marchi Lucky Strike e Pall Mall, per fargli alcune domande su queste tattiche mirate e sulle loro conseguenze. La prima non ha risposto, la seconda lo ha fatto attraverso Claudia Linares, la responsabile delle pubbliche relazioni della Bat per il Perù. Linares ha chiarito che i loro prodotti sono solo per adulti, che incoraggiano i negozi a chiedere la carta d’identità agli acquirenti e che non commercializzano sigarette singole, solo pacchetti sigillati. “Rispettiamo tutte le leggi”.

Le leggi sono queste: dal 1991 in Perù è vietato fumare nei luoghi pubblici al chiuso; dal 1997 non si possono vendere né sponsorizzare prodotti del tabacco nelle scuole e negli ospedali e dal 1998 è proibito vendere questi prodotti ai minori ovunque; dal 2006 nelle strade intorno a una scuola (in un raggio di cinquecento metri) non sono ammessi manifesti che pubblicizzano sigarette e sulle confezioni si leggono più avvertenze sui danni alla salute provocati dal fumo. E infine dal 2010 non si possono vendere pacchetti con meno di dieci sigarette.

Il Perù nel 2004 ha anche firmato la convenzione quadro dell’Oms per la lotta al tabagismo, che raccomanda di vietare del tutto la pubblicità di sigarette e prodotti simili. Un’analisi del 2017 dell’Instituto de efectividad clínica y sanitaria (Iecs), con sede a Buenos Aires, ricorda che ogni anno in Perù muoiono quasi 17mila persone per cause legate al consumo di sigarette e dimostra che, se il paese avesse una legge che proibisce completamente la pubblicità e la promozione del tabacco, in un decennio potrebbe evitare più di cinquemila decessi e risparmiare 873 milioni di sol peruviani (più di 220 milioni di euro) in spese sanitarie.

La convenzione dell’Oms è vincolante, ma a distanza di quasi vent’anni Lima non ha ancora tradotto il suo impegno in una normativa, che è stata ostacolata dalle aziende. Negli ultimi tempi sono stati presentati diversi progetti in parlamento, ma nessuno è arrivato al voto.

In America Latina, solo la Colombia e il Messico hanno leggi che vietano del tutto la pubblicità delle sigarette, anche se ci sono ancora ostacoli per la loro attuazione.

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