21 aprile 2023 14:36

La scuola media Yumoto è un edificio a due piani nel centro di Tenei, un villaggio nel nordest del Giappone. È stata costruita nel 1947, e dalla sua inaugurazione ha accolto 1.572 studenti. Nell’atrio sono esposte le foto di tutte le classi, ritratte nel giorno della consegna dei diplomi. Nelle immagini più vecchie, che risalgono a settant’anni fa, si contano anche cinquanta alunni; poi, passando dal bianco e nero al colore, il loro numero si riduce un po’ alla volta, diventando decisamente piccolo intorno agli anni duemila. Nella bacheca non c’è nessuna foto della classe 2022-2023.

Nell’anno scolastico appena concluso (in Giappone le lezioni terminano a marzo), un ragazzo di nome Eita Sato e una ragazza che si chiama Hoshi Aoi sono stati gli unici a diplomarsi alla Yumoto. E sono stati anche gli ultimi: l’istituto con loro smette ogni attività. “Tempo fa avevamo sentito qualcuno dire che la scuola avrebbe chiuso, ma non immaginavamo che sarebbe successo davvero. Per noi è stato uno shock”, racconta Eita all’agenzia Reuters.

Alle elementari lui e Hoshi avevano tre compagni di classe. Ma solo loro due si sono iscritti alle medie del villaggio. Ogni settimana si sistemavano in un’aula progettata per accogliere venti studenti, con i due banchi al centro, uno accanto all’altro. Durante il primo anno litigavano molto, ammette Eita. Poi si sono adattati. Per le attività extracurricolari (che sono sempre state garantite) hanno scelto sport che si fanno in coppia, soprattutto il ping pong.

I giorni precedenti alla consegna del diploma sono stati particolari, per loro ma anche per gli insegnanti. Nelle foto che accompagnano l’articolo della Reuters (e in un video pubblicato dal South China Morning Post, quotidiano di Hong Kong) si vedono i due studenti che frequentano le ultime ore di calligrafia e d’inglese, che servono l’ultimo pranzo in mensa e poi mangiano con i professori, che chiacchierano durante l’intervallo, che prendono per l’ultima volta il bus della scuola. Il giorno della cerimonia finale, è stata la mamma di Eita ad appuntargli sulla giacca la spilla con la scritta “Congratulazioni!”, di solito compito degli alunni più giovani. Alla fine della festa, il preside ha restituito la bandiera dell’istituto al sindaco del villaggio.

Senza bambini
La storia della Yumoto ha scosso i giapponesi, ma non è così rara. Secondo i dati del ministero dell’istruzione, tra il 2002 e il 2020 quasi novemila scuole hanno chiuso in tutto il paese: in media 450 all’anno. Di quelle in funzione, che sono più o meno 34mila tra primarie e secondarie, circa una su dieci non arriva a cinquanta iscritti.

Sembra difficile invertire questa tendenza, perché si lega a un altro fenomeno in accelerazione, cioè il calo delle nascite. La bassa natalità è un problema anche in altri stati vicini, come la Corea del Sud o la Cina, ma in Giappone è particolarmente grave. Nel 2022 sono nati 799.728 bambini: Tokyo aveva previsto di registrare così pochi neonati nel 2030, non prima. Per provare almeno a rallentare il processo, il governo si è impegnato ad adottare “misure senza precedenti”, come il raddoppio delle risorse per l’assistenza all’infanzia, sottolineando quanto sia fondamentale mantenere gli istituti scolastici in vita.

Per i comuni rurali perdere la scuola significa avere molte meno possibilità di attirare nuovi e giovani abitanti, e quindi spopolarsi ulteriormente.

C’è anche un’altra questione: cosa fare degli edifici vuoti? Alcuni, precisa il quotidiano francese Le Monde, sono abbandonati da tempo. Altri più antichi, che conservano un certo fascino, sono stati convertiti in musei dedicati all’apprendimento e al gioco.

Intanto a Tenei, Hoshi confida che da grande sogna di lavorare come maestra, nel suo villaggio. Dice di avere “dei bei ricordi della scuola, più di quanto pensassi”. Ad aprile comincerà le superiori, in un istituto diverso da quello di Eita.

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