15 novembre 2022 15:02

Verso la fine del concerto di Abdullah Ibrahim due signori anziani seduti di fianco a me si tengono la mano, un po’ commossi. Il pianista sudafricano, 88 anni, sta suonando il bis dopo aver ricevuto un’ovazione dal pubblico seduto in una delle sale da concerto del TivoliVredenburg, un auditorium nel centro di Utrecht, nei Paesi Bassi. C’è un po’ di via vai, perché altri spettatori, che sono tutti molto più giovani dei signori al mio fianco, stanno uscendo. Forse vanno a vedere un altro concerto che sta cominciando, quello del duo formato da Panda Bear (voce degli Animal Collective) e Sonic Boom (famoso per aver fondato la band di rock psichedelico Spacemen 3 insieme a Jason Pierce). O magari vanno a sentire quelli che cominceranno tra mezz’ora: gli Gnod, gruppo rock di Manchester, o il musicista pop congolese Pierre Kwenders.

Le Guess Who?, che quest’anno si è tenuto dal 10 al 13 novembre, è esattamente questo: un festival che ha pochi uguali nel mondo, in grado di attraversare i generi e le età, di mettere d’accordo la musica pop con il jazz, l’elettronica, perfino l’avanguardia. Un’utopia verticale ben rappresentata dal TivoliVredenburg, uno spazio pensato per la musica e progettato dall’architetto Herman Hertzberger che si sviluppa attorno alle sue scale, mobili e non, ed è circondato da enormi vetrate che mostrano i palazzi e i canali della città. La sala più grande è al piano terra. Più si sale, più gli spazi per i concerti diventano piccoli e sembra di stare dentro un club.

Per questo capita che un simbolo del jazz sudafricano e della lotta all’apartheid come Ibrahim si trovi a suonare di fronte a dei ragazzi che finora avevano a malapena sentito parlare di lui: il suo concerto per pianoforte solo, durato poco più di un’ora, è stato così intenso da fermare il tempo. Anche perché, per fortuna, c’era il divieto di usare i telefoni per fare foto e video. Alla fine, Ibrahim è stato salutato con un lungo applauso, come una rockstar, e prima di scendere dal palco ha cantato due canzoni a cappella, con voce tremante, prima di prendersi un’altra ovazione.

A sinistra, Abdullah Ibrahim. A destra, i Gnod. (Maarten Mooijman e Tim van Veen)

Eppure, riavvolgendo il nastro, Le Guess Who? si potrebbe raccontare in un modo completamente diverso. Magari partendo dal concerto dei Goat, band svedese che abbina influenze rock-funk anni sessanta a un’estetica pagana e si nasconde dietro a maschere tribali. Ha riempito all’inverosimile la sala Ronda regalando un’esibizione trascinante, soprattutto per merito della sua sezione ritmica. In questo caso potremmo essere tranquillamente al Primavera sound, o a uno qualsiasi dei festival rock estivi internazionali, con il pubblico che si accalca per avvicinarsi al palco, salta, balla, suda. Cambiando ancora le carte in tavola, si potrebbe parlare dell’esibizione dei KOKOKO!, progetto di un collettivo di musicisti congolesi guidati da Makara Bianko insieme al producer elettronico francese Débruit che decostruisce l’elettronica e la musica africana con un’energia irresistibile; o del rock sofisticato della gallese Cate Le Bon, arrivata in ottima forma insieme alla sua band; o al pop sperimentale della colombiana trapiantata a Berlino Lucrecia Dalt, che fonde la tradizione musicale del suo paese con le suggestioni dell’elettronica europea; o, ancora, al rap contagioso del duo statunitense They hate change, autore di una performance impeccabile.

Il festival, tra l’altro, non si esauriva certo al TivoliVredenburg: a Le Guess Who? è capitato di ascoltare Lole Montoya, innovatrice del flamenco negli anni settanta nel duo Lole y Manuel, nel tardo pomeriggio dentro la Jacobikerk, una chiesa protestante nel centro della città; oppure Dj Travella, diciannovenne portato qui dall’etichetta ugandese Nyege Nyege, che alle due di notte saltava come un grillo durante un dj set dai bpm altissimi dentro il Basis, una piccola discoteca con il tetto basso affacciata sui canali di Utrecht.

I Goat. (Tim van Veen)

Le Guess Who? è nato quindici anni fa grazie a due promoter olandesi, Bob van Heur e Johan Gijsen, con l’idea di portare nei Paesi Bassi i musicisti della scena canadese. Alla prima edizione, infatti, c’erano solo artisti di quel paese, a partire da Caribou. Ma piano piano è cambiato ed è cresciuto, sfruttando gli investimenti della città di Utrecht (che ha voluto la costruzione del TivoliVredenburg, senza il quale il festival attuale sarebbe impensabile) e un coraggio e una lungimiranza nel mettere in piedi un programma che difficilmente si trovano in altri festival europei. Le Guess Who?, inoltre, ha raccolto il testimone di un festival che non c’è più, l’All Tomorrow’s Parties di Londra, imitandone la scelta di far curare una parte della line up ad alcuni dei musicisti invitati. Il primo è stato Michael Gira degli Swans nel 2014. Ed è questo uno degli aspetti che garantiscono la diversità del festival. Quest’anno i curatori erano il gruppo rap sperimentale clipping., il collettivo londinese CURL (di cui fanno parte Mica Levi, Brother May e Coby Sey) e gli statunitensi Animal Collective, che però non si sono presentati in seguito alla cancellazione dell’intero tour europeo per motivi economici, mandando al loro posto il solo Panda Bear.

A proposito, le defezioni sono un tema inevitabile dell’edizione 2022. Le Guess Who? ha mostrato in modo lampante cosa significa fare un festival nel mondo postpandemico. Numerosi artisti, alcuni molto importanti, quest’anno non si sono presentati. Se quello degli statunitensi Low è stato purtroppo un caso a parte – l’assenza della band era dovuta alla recente morte della batterista e cantante Mimi Parker – tutte le altre defezioni erano dovute a motivi logistici ed economici: se musicisti come gli Animal Collective sono costretti a cancellare il loro tour europeo vuol dire che c’è un grosso problema per tutta l’industria della musica dal vivo.

Ma la forza del festival olandese, come detto, è stata quella di andare oltre: Le Guess Who?, per precisa volontà degli organizzatori, non ha headliner, come si chiamano in gergo gli artisti di punta, quelli scritti a caratteri più grandi nel cartellone. Come hanno raccontato gli stessi organizzatori in un podcast sulla storia della manifestazione, “Utrecht è il nostro headliner”. Il concetto del festival diffuso, che contamina la città per qualche giorno, in un certo modo fa venire in mente il caso statunitense del South by Southwest, che però è un evento dalle dimensioni e dai volumi economici molto superiori. E questo è un altro aspetto vincente della manifestazione olandese. L’atmosfera che si respira ai concerti – rilassata, con un pubblico educato e attento, curioso – si respira in buona parte della città, anche quando si fa semplicemente una passeggiata turistica tra i canali la mattina.

Le Guess Who? è un festival stimolante e visionario, ma anche vivibile. Chi lo segue da anni ci va a prescindere, prima ancora che esca il programma, perché si fida degli organizzatori. Ogni tanto, del resto, è bello andare a un concerto senza avere un’idea precisa di cosa succederà, quasi sollevati dal desiderio di ascoltare un determinato gruppo o repertorio. Non si va a Le Guess Who? per rivivere delle emozioni, ma per provarne di nuove. Ovviamente non va sempre bene, perché a volte capita di ritrovarsi a un concerto che non ti piace. Ma alla fine, tornati in Italia, si ha l’impressione di aver imparato tante cose.

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