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Il rifugio sicuro di Philip Selway

Philip Selway. (Phil Sharp)

Philip Selway è bloccato nel traffico di Londra. Pensava di arrivare a casa in tempo per l’intervista, invece si è dovuto accostare al lato della strada per collegarsi su Zoom dal telefono. Dal finestrino filtra una luce fioca, probabilmente il tempo è nuvoloso. Selway porta un elegante cappotto beige con il bavero alzato e un paio di occhiali dalla montatura rossa, sembra un gallerista londinese. In effetti vive nella capitale britannica, ma è nato a Oxford e non fa certo il gallerista. È il batterista di una delle band più importanti della storia della musica: i Radiohead. E chi conosce bene la band sa che la sezione ritmica, costituita da Selway insieme al bassista Colin Greenwood, è uno dei suoi punti di forza.

Philip Selway però è anche altro. Suona la chitarra e compone canzoni da quando era adolescente. Dal 1991, quando i Radiohead hanno firmato il loro primo contratto discografico con la Emi, si è concentrato di più sulla batteria, ma nel corso degli anni ha messo da parte molti brani, pensando che prima o poi gli sarebbe piaciuto fare un disco solista. C’è riuscito nel 2010, quando è uscito Familial. Da quel momento, nei periodi di pausa della band, ha continuato a coltivare la sua carriera parallela, pubblicando album, colonne sonore cinematografiche e firmando le musiche per gli spettacoli della compagnia di danza contemporanea Rambert.

Il suo terzo album solista Strange dance, in uscita il 24 febbraio, sembra nato proprio da queste esperienze con il mondo del cinema e della danza. È un disco crepuscolare e confidenziale, che parla di sogni e notti insonni, con toni ambient e sontuosi arrangiamenti a base di archi e sintetizzatori. Il suo autore lo definisce “un rifugio sicuro” e spiega: “Lavorando con la Rambert mi è capitato di fare delle chiacchiere interessanti con alcuni ballerini e di sperimentare strutture musicali nuove. Questo mi ha dato la spinta iniziale per concepire Strange dance”, spiega Selway con voce gentile e un impeccabile accento british. “Molti brani hanno un andamento in crescendo sostenuto dagli archi, come The heart of it all, mentre altri, come What keeps you awake at night, sono nati con chitarra e voce, ma una volta in studio sono diventati più complessi e stratificati. Stavolta, più che i Joy Division o i Velvet Underground, tra i miei punti di riferimento c’era il compositore britannico John Barry”.

C’è una cosa curiosa in Strange dance: Philip Selway non suona quasi mai la batteria. E lui spiega perché: “Non è la prima volta che succede. In Familial, il mio esordio solista, avevo collaborato con il batterista dei Wilco Glenn Kotche. Stavolta avevo cominciato io a suonarla, ma qualcosa non mi convinceva, mi avrebbe tolto troppo tempo ed energie. Così ho parlato con la produttrice del disco, Marta Salogni, e lei mi ha suggerito di chiamare Valentina Magaletti. Valentina è una bravissima batterista e percussionista, molto veloce e ispirata. In poche session abbiamo registrato molto materiale. È stato un punto di svolta delle registrazioni. E poi è bello sedersi e vedere qualcun altro che suona il tuo strumento tirando fuori idee interessanti. Quando faccio i miei dischi solisti mi piace fare un po’ il supervisore”.


Marta Salogni, bresciana trapiantata a Londra, è una produttrice in forte ascesa negli ultimi anni. Dopo aver lavorato con Björk, gli Animal Collective e Bon Iver in veste di ingegnera del suono e responsabile del mixaggio, di recente è stata addirittura la coproduttrice di Memento mori dei Depeche Mode insieme a James Ford. Anche Selway è entusiasta di lei. “Marta è incredibile. Avevo già lavorato con lei per il mio secondo disco Weatherhouse, dove si era occupata del mixaggio di alcune parti vocali. Ha un’intelligenza sonora notevole, e come ingegnera del suono non è seconda a nessuno. Inoltre porta un’atmosfera positiva in studio. Avevo fin dall’inizio delle idee piuttosto ambiziose per gli arrangiamenti di Strange dance, e grazie a lei sono riuscito a renderle possibili”.

A un certo punto della conversazione viene naturale chiedergli dei Radiohead. Negli ultimi due anni, dopo che Thom Yorke e Jonny Greenwood hanno fondato gli Smile insieme al batterista Tom Skinner, molti hanno pensato che la band di Oxford fosse ormai una cosa del passato. Ma non è così. “I Radiohead sono tutt’altro che finiti”, risponde Selway, “Ci vediamo spesso e parliamo di progetti, anche se nel futuro immediato saremo tutti concentrati sulle nostre attività parallele. Ma stiamo cercando un modo per fare di nuovo musica insieme”.

Se Selway dovesse scegliere una parte di batteria all’interno del catalogo dei Radiohead, quale brano citerebbe? “Molti fan dicono che la canzone dove ho suonato meglio è Pyramid song (da Amnesiac, del 2001) perché pensano che sia molto complicata. In realtà non è così difficile, è l’integrazione tra gli strumenti a rendere quel brano complesso. Se dovessi sceglierne una, in realtà, direi Let down, da Ok computer. Il suono della batteria di quel pezzo è molto emotivo, ne sono orgoglioso”.

Nei prossimi mesi Philip Selway porterà Strange dance in tour. Ha già fatto qualche data nel Regno Unito, ma si esibirà anche nel resto d’Europa. “Ovviamente dovrò cambiare un po’ gli arrangiamenti, adattandoli a una band di pochi elementi, ma sono felicissimo di portare dal vivo questi brani. Nel mio gruppo ci sarà anche il cantautore scozzese James Yorkston (autore recentemente di un bel disco insieme a Nina Persson con il progetto The Second Hand Orchestra). Al momento non ho fissato delle date in Italia, ma mi piacerebbe molto venire nel vostro paese”, spiega il musicista sistemandosi gli occhiali rossi.

Ci congediamo, perché il tempo dell’intervista è scaduto. Lui ne avrà un’altra tra pochi minuti. “Ma non credo di farcela a tornare a casa in tempo, dovrò fare anche quella in macchina”, dice prima di salutarmi con la sua voce gentile.

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