22 gennaio 2024 14:04

L’arco dell’unificazione sovrasta l’autostrada che da Pyongyang corre dritta verso sud. Fu fatto costruire da Kim Jong-il nel 2001 per celebrare il sogno del padre, Kim Il-sung, di vedere la penisola di nuovo unita. Sul modo in cui la riunificazione si sarebbe dovuta realizzare, prima di morire il fondatore della patria aveva lasciato indicazioni precise, riportate su una lastra di marmo che si trova sul ciglio della strada, sotto l’arco.

Fondamentalmente Kim prevedeva uno stato federale in cui si sarebbero mantenuti i due sistemi di governo. Che il tema dell’unificazione per decenni sia stato uno dei capisaldi della propaganda nordcoreana lo dimostra il fatto, per esempio, che nelle conversazioni con i due guardiani che mi erano stati assegnati quando ho visitato il paese nel 2016 uno dei leitmotiv ricorrenti era che la riunificazione “arriverà molto presto grazie alla sapiente guida del maresciallo Kim Jong-un”.

Ora il leader nordcoreano vuole che quel monumento sia distrutto perché la riunificazione pacifica con il sud non è più un obiettivo perseguibile. Non solo. Kim ha annunciato che la costituzione sarà modificata e indicherà la Corea del Sud come “nemico numero uno” della Repubblica Democratica Popolare di Corea. Non si tratta di una mera questione retorica, ma di un cambio di paradigma nella politica del regime e di un’insolita rottura di Kim Jong-un rispetto al nonno e al padre, le cui salme imbalsamate riposano nel mausoleo Kumsusan, nella capitale. Tramite l’agenzia di stampa nordcoreana Kcna si è saputo poi che le agenzie governative per la promozione dei rapporti con il Sud sono state chiuse.

Come mai? Il primo obiettivo potrebbe essere consolidare la cooperazione con Russia e Cina che si è delineata nell’ultimo anno, complice il conflitto in Ucraina, in contrasto all’alleanza Corea del Sud, Stati Uniti e Giappone (giovedì a Mosca la ministra degli esteri nordcoreana Choe Son Hui ha incontrato l’omologo russo Sergej Lavrov).

“Pyongyang sa bene che se nella penisola coreana cresce la tensione la Cina non rimane a guardare, dato che Pechino vuole il mantenimento dello status quo negli equilibri regionali”, scrive Lee Min-yong, docente di affari nordcoreani all’università femminile Sookmyung di Seoul. Lee aggiunge che ci sono anche ragioni di politica interna che spiegano il brusco cambio di linea di Kim: da sempre Pyongyang usa la minaccia bellica per distogliere l’attenzione della popolazione dalla crisi economica costante in cui versa il paese, e la nuova ostilità dichiarata nei confronti di Seoul dice quanto sia grave la situazione umanitaria oggi.

Quanto è pericoloso tutto questo? Nei giorni scorsi due esperti di Corea del Nord normalmente non allarmisti hanno pubblicato un articolo di cui si sta parlando molto. “Kim Jong-un si sta preparando per la guerra?”, titola il pezzo di Robert L. Carlin e Siegfred S. Hecker uscito sul sito specializzato 38north.org. “La situazione nella penisola coreana è più pericolosa di quanto non lo sia mai stata dall’inizio di giugno del 1950”, cioè da quando Kim Il-sung decise di scatenare la guerra di Corea.

“Non sappiamo quando o come Kim premerà il grilletto, ma il rischio è già ben oltre gli avvertimenti di routine a Washington, Seoul e Tokyo sulle ‘provocazioni’ di Pyongyang”, avvertono i due. Sul rischio di un conflitto provocato dalla Corea del Nord in genere “si risponde con l’ormai consueta argomentazione che Kim Jong-un non oserebbe fare un passo del genere perché ‘sa’ che Washington e Seoul distruggerebbero il suo regime se lo facesse”. Ma questa argomentazione è pericolosa perché si basa su una lettura sbagliata della storia, continuano Carlin e Hecker.

Innanzitutto non si può comprendere la portata del cambio di paradigma voluto da Kim senza tener conto del fatto che negli ultimi 33 anni al centro della politica di Pyongyang c’è stata la normalizzazione, mai avvenuta, dei rapporti con gli Stati Uniti. Alla luce di questo, quindi, si può capire che effetto ha avuto il fallimento del vertice di Hanoi del febbraio 2019 con Donald Trump.

“La storia suggerisce che chi si è convinto di non avere più alcuna buona opzione penserà che anche il gioco più pericoloso valga la candela”, scrivono i due esperti. “Se, come sospettiamo, Kim si è convinto che dopo decenni di tentativi non c’è modo di impegnare gli Stati Uniti, le sue recenti dichiarazioni e azioni puntano verso una soluzione militare”. Il 19 gennaio Pyongyang ha fatto sapere di aver testato un sistema di armi nucleari sottomarine e due settimane prima aveva sparato colpi d’artiglieria nella zona di confine marittimo con la Corea del Sud. Eventi che alla luce della svolta politica di Kim Jong-un assumono un carattere particolarmente inquietante.

Questo testo è tratto dalla newsletter In Asia.

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