22 giugno 2015 16:04

“Abbiamo attraversato il confine con la Germania. Vedessi come sono felici, non fanno altro che chiedermi se questa è davvero la Germania. Ho preso Google maps sul telefono e gli ho mostrato dove siamo”. Luca fa il giornalista e in concomitanza con il nostro primo anniversario di matrimonio era su un treno per Monaco di Baviera in compagnia di un’ottantina di migranti eritrei in viaggio da Roma. Dopo la chiusura straordinaria della frontiera per il G7, il 15 giugno la Germania ha riaperto il confine. E così gradualmente i profughi, eritrei, somali, siriani hanno ripreso il loro viaggio verso il nord.

Un altro messaggio mi avverte dell’amaro epilogo. “Siamo scesi dal treno, è arrivata la polizia tedesca e li ha arrestati tutti, che tristezza. Ora li portano in un centro d’identificazione qui a Monaco”. Per fargli coraggio rispondo: “Sono eritrei e sono minori, non possono trattenerli. Al massimo li identificano e possono fare domanda d’asilo, che è quello che vogliono”. Ma questo non rende la faccenda meno triste.

Così mentre penso che dovremmo lanciare l’idea di brigate di volontari internazionali composte di avvocati, giornalisti e mediatori culturali per facilitare il passaggio dei profughi alle frontiere e garantire che non siano violati i loro diritti, mi torna in mente un museo che ho visitato tanti anni fa: il museo del muro di Berlino al checkpoint Charlie.

Nelle ultime settimane, la Germania, la Francia, ma soprattutto i paesi dell’Europa orientale hanno osteggiato le nuove linee guida sull’immigrazione presentate dalla Commissione europea che prevedono la ridistribuzione sul territorio europeo di circa 40mila richiedenti asilo arrivati dallo scorso aprile in Italia e in Grecia, i paesi più meridionali dell’Unione. Il 17 giugno, inoltre, l’Ungheria ha annunciato che costruirà un muro alto quattro metri e lungo 175 chilometri al confine con la Serbia per impedire ai migranti irregolari di entrare nel paese.

Fa specie che a ostacolare il piano di solidarietà tra i paesi dell’Unione siano proprio gli stati che portano ancora i segni e le ferite prodotti da un’altra frontiera, quella che solo 25 anni fa divideva l’Europa dal blocco sovietico, la cosiddetta cortina di ferro.

In fuga dalla Germania Est

Il museo del muro di Berlino, quando l’ho visitato nell’agosto del 2001, era un luogo polveroso a metà tra la scatola delle fotografie della nonna e un vecchio souvenir che riemerge da un cassetto. Era un luogo trascurato, rimosso, anche se a quel tempo la caduta del muro e la riunificazione tedesca, Wiedervereinigung (come la chiamano loro), era il mito fondativo della nuova, grande Germania. Ho passato delle ore in quel museo, perché nelle teche, nelle foto sbiadite c’erano decine di storie di persone, di famiglie che quel muro avevano provato ad attraversarlo: aggirandolo, passandoci sotto, sopra e attraverso. Erano storie eroiche, commoventi. A volte, poche volte, finivano bene.

Almeno 138 persone morirono nel tentativo di superare quel confine lungo 150 chilometri, eretto nel 1961 con diecimila chilometri di filo spinato. Secondo la fondazione che gestisce il museo, le persone che morirono provando ad attraversare la frontiera tra Germania Est e Germania Ovest furono più di 1.700. La polizia di confine della Repubblica Democratica Tedesca (Ddr) aveva l’ordine di fermare e anche di uccidere chiunque provasse ad attraversare il confine senza autorizzazione.

Eppure i tedeschi di Berlino Est continuarono a provarci per trent’anni. Chi crede nel futuro spesso è dotato di un’ingenuità sorprendente e a volte anche di parecchia fantasia.

Si stima che circa cinquemila persone riuscirono a raggiungere Berlino Ovest, tra il 13 agosto 1961 e il 9 novembre 1989. Ma più di 75mila furono arrestate per aver provato a lasciare la Ddr senza autorizzazione.

Tra il 3 e il 5 ottobre del 1964, 57 persone riuscirono a fuggire da Berlino Est attraverso un tunnel, che fu chiamato Tunnel 57. Il tunnel era stato scavato per mesi da studenti e attivisti politici di Berlino Ovest, e collegava un bagno pubblico nel cortile di un palazzo di Strelitzer Strasse 55, a Berlino Est, con una panetteria dismessa di Bernauer Strasse, a Berlino Ovest. Il cunicolo era lungo 140 metri, largo 90 centimetri e passava a una profondità di undici metri sotto il muro. Fu scoperto dalla Stasi, la polizia segreta della Ddr, poche ore dopo la sua apertura, ma permise la più grande fuga di massa dalla Germania Est.

Una delle 57 persone che riuscirono a fuggire da Berlino Est attraverso un tunnel, tra il 3 e il 5 ottobre del 1964. (Ap/Ansa)

Il 10 ottobre 1969 l’ingegnere Manfred Burmeister riuscì ad attraversare il mar Baltico con un piccolo sottomarino che si era fabbricato da solo. Partì da Wustrow e fu soccorso in acque danesi dalla nave della guardia costiera danese Gedser Rev che durante la guerra fredda raccolse in mare molti tedeschi in fuga dalla Ddr. Nel luglio del 1971 Peter Döbler nuotò per ventiquattr’ore senza sosta nelle acque del mar Baltico per 48 chilometri tra Kühlungsborn (Ddr) e l’isola di Fehmarn, nella Germania Ovest.

Il 16 settembre 1979 Hans Peter Strelczyk, un meccanico che lavorava nell’aviazione, insieme all’amico Günter Wetzel fabbricò una mongolfiera che trasportò i due amici e le loro famiglie all’ovest. Usarono bombole di propano per fabbricare il motore, e cucirono insieme delle lenzuola per farne una mongolfiera. Dopo un primo tentativo fallito, i due uomini, le loro mogli e i loro quattro figli si alzarono in volo 2.600 metri sopra al confine e dopo trenta minuti atterrarono in una radura, nella Germania Ovest.

Hans Strelczyk e Günter Wetzel, insieme alle loro famiglie, in posa dopo il viaggio in mongolfiera che li portò nella Germania Ovest.
(Dr)

Nel novembre del 1986 due amici, Karsten Klünder e Dirk Deckert, partirono dall’isola di Hiddensee con due tavole da windsurf che si erano fabbricati da soli, per raggiungere l’isola danese di Møn, nel mar Baltico.

Altri provarono con deltaplani e teleferiche, ci fu chi dirottò un treno, chi rubò un carro armato, chi si nascose nel portabagagli di un’auto.

Il 19 giugno scorso due migranti si sono nascosti nel vano del carrello di un aereo della British Airways partito da Johannesburg, in Sudafrica, e diretto a Londra. Uno dei due è precipitato, si è schiantato sul tetto di una casa di Londra, ed è morto. L’altro è stato ricoverato in ospedale in gravi condizioni. Le temperature all’interno del vano carrello di un aereo possono arrivare anche a 50 o 60 gradi sotto lo zero e sopravvivere è un miracolo.

L’8 maggio un ragazzino di otto anni si è nascosto in una valigia per provare a entrare a Ceuta, una delle enclave spagnole in Nordafrica, ma è stato fermato dai poliziotti spagnoli alla frontiera. Cercava di raggiungere sua madre che vive in Spagna.

A due isolati dal museo del muro su Friedrichstrasse, a Berlino, c’è una stele di bronzo che ricorda la morte di Peter Fechter, un ragazzo di 18 anni, che nel 1962 provò a scavalcare il muro insieme a un amico e fu colpito alle spalle dal fuoco delle guardie di frontiera della Ddr. Sul bronzo c’è scritto: “Voleva solo la libertà”.

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