08 luglio 2013 14:55

Qualche giorno fa mi sono trovata a parlare di pubblicità sessista, di donne, di Gender gap index e del bisogno urgente di cambiare le cose in Italia.

Un discorso non facile davanti a una platea non facile, e in un contesto impegnativo: l’assemblea annuale dell’[Upa (Utenti pubblicitari associati)][1], l’associazione a cui fa capo la stragrande maggioranza delle imprese che investono in pubblicità nel nostro paese.

Sono quelle che determinano stili e contenuti della comunicazione commerciale nazionale, sui mezzi d’informazione classici (tv, stampa periodica e quotidiana, radio, affissione, cinema) e sul web. E che, acquistando spazi pubblicitari, finanziano in misura rilevante l’intero sistema dei mass media.

Solo pochi anni fa, l’idea che gli investitori pubblicitari italiani potessero interrogarsi sulla rappresentazione delle donne – e che potessero farlo all’interno di un momento istituzionale – sarebbe apparsa del tutto irrealistica.

Se le cose sono cambiate è merito dell’instancabile attivismo, sul web e non solo, di decine di gruppi di opinione. Di alcune prese di posizione forti, come quella di Laura Boldrini. E, come attesta Eurisko, anche di un’accresciuta sensibilità nazionale: parlo di un numero crescente di cittadini che – in un paese da vent’anni privo di coesione, progettualità e capacità di immaginare un nuovo sviluppo – ridisegnano individualmente e radicalmente i propri consumi e i propri stili di vita cercando “qualità, senso, autenticità, memoria, consapevolezza, appartenenza, etica”.

All’assemblea dell’Upa mi sono proposta di lanciare, argomentandoli, tre messaggi.

1) La partecipazione delle donne allo sviluppo economico e politico del paese è ancora oggi troppo bassa. Questo non è solo scandaloso, ma pesa in modo negativo sul pil e sul nostro indice di sviluppo umano, quindi sul benessere generale e sulla crescita.

2) Questa situazione è aggravata e rinsaldata dal fatto che i mezzi d’informazione rappresentano l’universo delle donne italiane in modo a volte offensivo, troppo spesso stereotipato e sempre carente. Potrebbero e dovrebbero invece da una parte dar conto della varietà e della ricchezza dell’universo femminile, dall’altra offrire nuovi positivi e necessari modelli di ruolo.

3) La pubblicità è solo una parte minoritaria del sistema mediatico, ma è efficace e, per definizione e vocazione, persuasiva. Le imprese possono contribuire al rinnovamento (anzi, come dice Eurisko, alla “rigenerazione” del paese) superando gli stereotipi che oggi, nella narrazione pubblicitaria, intrappolano sia gli uomini sia le donne. È una sfida di cambiamento e di visione.

È provato che gli stereotipi influenzano significativamente i comportamenti, l’immagine di sé e la performance delle persone che ci si trovano intrappolate. Uno dei primi studi (ne sono stati ormai prodotti decine), notissimo e citatissimo, sul tema dello [stereotype threat (la minaccia dello stereotipo)][2] ne esamina le conseguenze sulle competenze riguardanti la matematica. [Un ottimo e argomentato commento in italiano][3], con alcuni link interessanti, è stato scritto da Giulietta Capacchione.

Ecco il video dell’intervento all’Upa. Dopo le prime battute, la macchina da presa inquadra anche le tavole che ho proiettato, e seguire il testo è più facile.

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Online c’è anche [l’intero slideshow][4] che ho presentato. Su ciascuna delle tavole che riportano dati trovate la citazione delle fonti. E c’è [la traccia del testo][5]: i numeri corrispondono alle tavole dello slideshow.

Qui sotto, invece, trovate il video della relazione di apertura, tenuta dal presidente Lorenzo Sassoli de Bianchi. Contiene sei proposte per la comunicazione 3.0 e l’invito, rivolto a tutte le aziende, “ad attuare una seria riflessione sul ruolo della donna nella pubblicità. (…) una sensibilità condivisa su questo tema rende più efficace la comunicazione, fa bene alla marca e permette alla società nel suo insieme di rompere il soffitto di cristallo e alle donne di continuare a chiedere uomini migliori”.

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Tutto ciò può sembrarvi poco, ma credo che non lo sia. Il segnale è forte e inedito.

Tutto ciò può sembrarvi tardivo (e questo è vero). Ma l’inerzia del sistema è grande, e credo che ogni indizio di cambiamento vada comunque accolto con favore, supportato e rafforzato, senza cedere al vizio nazionale di lamentarsi per “ciò che avrebbe dovuto essere”, trascurando poi di alimentare quel che di buono e di nuovo potrebbe nascere, finalmente.

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