15 ottobre 2013 07:00

Li chiamano “culi neri”. Arrivano dalle repubbliche caucasiche della Federazione russa o dalle ex repubbliche dell’Urss oggi indipendenti. Sono cittadini russi o ex sovietici, e hanno tre caratteristiche in comune.

Non hanno un aspetto slavo, sono musulmani (almeno in origine, dato che tutte le religioni hanno perso vigore durante i decenni comunisti) e sono attirati dalla relativa ricchezza di Mosca e dai molti posti di lavoro. Il più delle volte fanno i muratori o gli spazzini, lavori generalmente snobbati dai russi.

Considerati stranieri anche quando sono innegabilmente russi, gli immigrati dall’interno della Federazione o “dall’estero vicino” (come vengono definite le ex repubbliche sovietiche) si ritrovano anche nei mercati della capitale, dove vendono frutta e legumi importati dalle terre assolate da cui provengono.

Mosca è la New York dell’est. Cosmopolita quanto la Grande mela, la capitale russa è un crogiolo di nazionalità mescolate dall’impero e dall’Unione sovietica. Gli “stranieri”, però, non sono i benvenuti, perché generalmente poveri, di carnagione scura e in crescita costante. E soprattutto perché abitano i palazzi della periferia moscovita, dove la loro presenza al fianco dei russi alimenta il risentimento sociale.

Sono colpevoli di tutto, e costituiscono un capro espiatorio ideale per le famiglie più povere di un paese in cui le differenze di reddito sono ormai vertiginose, soprattutto a Mosca. I “culi neri” sono disprezzati e odiati, e quando giovedì un giovane russo delle periferie è stato ucciso da uno sconosciuto che a quanto pare non aveva un aspetto slavo, è esplosa la violenza contro di loro.

“La polizia li protegge”, “La polizia non fa niente”, accusavano i rivoltosi. Al grido di “la Russia ai russi!”, sabato e domenica hanno scatenato una vera e propria caccia all’uomo, distruggendo automobili e negozi che non appartenevano agli slavi.

Per necessità o connivenza, la polizia ha lasciato fare. Lunedì, dopo aver incontrato Vladimir Putin, il sindaco della capitale ha ordinato una serie di retate (come altro definirle?) di non-slavi. 1.600 interrogatori filmati sono stati ritrasmessi dalle reti televisive, che hanno lodato l’iniziativa.

In questo modo il Cremlino ha voluto sdoganarsi per non perdere definitivamente il controllo della situazione, in un momento in cui la popolazione, istigata da tutte le forze di opposizione, accusa il governo (non a torto) di attirare manodopera a basso costo per assegnare i posti di lavoro vacanti (e lasciare la polizia libera di arricchirsi con il traffico di permessi di soggiorno) e di non imporre visti ai cittadini delle ex repubbliche sovietiche per riportare i loro paesi d’origine nell’orbita russa.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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