20 aprile 2017 12:42

In un periodo di grande attesa preelettorale per la Francia, esce la traduzione in italiano del primo volume del romanzo-fiume I selvaggi di Sabri Louatah, che ipotizza un candidato presidenziale arabo, musulmano e brillantissimo. Potrebbe sembrare una finzione lontana dalla realtà, ma nei fatti, la possibilità che possa vincere una donna bianca e xenofoba è altrettanto poco credibile.

Cominciare il primo volume dei Selvaggi significa immergersi in un’avventura appassionante, come sanno offrire solo i grandi feuilleton francesi del novecento, da Balzac a Dumas. Partendo dalla famiglia Nerrouche e dalle sue vicissitudini, si aprono mondi di personaggi e intrighi. Dalla periferia di Saint- Étienne si sale – via via – nelle più alte sfere del potere, dai tribunali alle sedi di partito fino ai “gabinetti neri” e alla cerchia personale del candidato presidente Idder Chaouch. Louatah sembra non volere mai smettere – è arrivato al quarto volume – di descrivere mondi e persone diverse ma sempre connesse fra loro, e che fanno della Francia un paese così difficile da capire oggi.

Il clan Nerrouche, a forte tendenza matriarcale, è tenuto insieme dalle zie Rabia e Dounia, e soprattutto dalla nonna Khalida. Le donne di famiglia hanno deciso di far sposare il giovane omosessuale – non dichiarato – Slim a Kenza Zerbi, una ragazza araba algerina. Questo matrimonio di convenienza diventa l’evento meno “conveniente” del mondo, durante il quale succedono le cose più improbabili: scontri tra berberi e arabi, famiglie in concorrenza, addirittura un trans romeno che irrompe alla festa chiedendone conto allo sposo. L’indomani avviene la tragedia: uno sparo colpisce il candidato presidenziale della speranza, l’arabo provvidenziale, intelligente e coraggioso, Idder Chaouch.

La Francia con amore e senza buonismo
Il primo volume dura il tempo di una festa. A leggere di questo matrimonio cabilo e arabo a Saint-Étienne, solo la cattiva fede o la menzogna possono spingere a negare il fatto che il Maghreb, e i suoi riferimenti culturali e sociali, fanno parte della Francia quanto quelli della Provenza o della Bretagna.

È la Francia contemporanea, descritta con amore, senza buonismo: individui persi o di successo, e non per qualcosa che ha a che fare con la loro “identità” araba o musulmana, ma semplicemente con i loro percorsi di vita, come la perdita di un padre o di un marito, una malattia, la difficoltà di accettare la propria sessualità, il peso della famiglia o della società.

La Francia è l’unico paese multiculturale al mondo che non è ancora riuscito a rendersene conto

Rabia (che vuol dire primavera in arabo) è “mia madre”, spiega Louatah, in una conversazione su Skype da Chicago: “Ci ho messo un po’ a capirlo ma è proprio a causa sua se sono diventato romanziere. Avevo sempre pensato che mi piacesse scrivere perché da bambino mi piaceva leggere. In realtà è perché lei è stata una cantastorie inarrestabile. Una chiacchierona straordinaria… una meraviglia”.

Il giovane romanziere, che non vuole più sapere niente di questa Francia razzista, intende “diventare uno scrittore americano nato in Francia” e preferisce di gran lunga il multiculturalismo americano: “La Francia è l’unico paese multiculturale al mondo che non è ancora riuscito a rendersene conto, figurati a esserne felice”.

Su Skype, Louatah mostra l’aria piovosa e fredda di Chicago, che sembra essere, ai suoi occhi, finalmente un luogo di possibilità: “Io vengo dagli strati più bassi della società, mi piace pensare di essere uno che si è fatto da solo, un self-made man. E questo l’America lo accetta, mentre la Francia sta ancora facendo i conti con le eredità”.

Il dominio dei codici culturali
La sua famiglia si è riconosciuta nella descrizione del clan Nerrouche, e fin dal primo volume è chiaro che sta raccontando di qualcosa di molto familiare, con un’ironia affettuosa nei confronti della sua tribù. Come riesce, però, a far parlare gli ereditieri, il clan Montesquiou, per esempio, cioè la vieille France, la Francia attaccata al potere da secoli?

“Quando m’interessa qualcosa, leggo tutto sul soggetto. E poi ho frequentato le ‘classi preparatorie letterarie’, e lì ho incontrato persone diverse, tra cui un giudice. Sono andato a parlarci, per chiedergli tutti i dettagli possibili”. Questa puntigliosità è evidente nell’opera, dove parole e dialoghi sono precisi, e permettono di viaggiare attraverso i registri linguistici con una meravigliosa facilità. Louatah domina i codici culturali delle diverse tribù “selvagge” francesi.

Di fatto, tutto quello che succede ai Selvaggi deriva dalla loro appartenenza a un clan, una famiglia allargata che mescola diverse piste: il clan Nerrouche, il clan Chaouch, il clan dei Montesquiou… Si intuisce che è questo che interessa maggiormente Louatah: “Adoro la letteratura americana, che ancora si occupa della famiglia. I contemporanei europei raccontano storie d’amore, di coppie, a me invece piace partire dalla famiglia”.

Il giovane Krim, con il cappello sempre in testa per proteggersi dall’esterno è, a prima vista, il tipico ragazzo di periferia perso, senza futuro, perennemente sotto l’effetto della marijuana. Si rivela anche un quasi genio del pianoforte, dotato di una grandissima sensibilità, che guarda alla natura e al mondo – anche nelle sue più infime espressioni – con romanticismo e sottigliezza.

È un ragazzo docile con la mamma, innamorato di una donna, figlia di un giudice che non appartiene al suo ambiente. È lui però che diventa il nemico numero uno francese.

Due facce della stessa medaglia
Il tema del terrorismo è stato accolto con sorpresa in Francia. I selvaggi sono stati premonitori per molti aspetti, come ha scritto Libération: “Louatah sembra avere il dono della premonizione – o dell’intuizione. Aveva cominciato a scrivere I selvaggi prima dell’affare Merah” scaturito dagli attentati contro i militari e la scuola ebraica a Tolosa e Mantauban. “E lo slogan della campagna elettorale del suo candidato socialista L’avenir, c’est maintenant (L’avvenire è ora), l’aveva trovato nel novembre 2010 prima di Le changement, c’est maintenant (Il cambiamento è ora)”, lo slogan elettorale di Hollande.

Il romanzo è anche precedente al libro di Michel Houellebecq Sottomissione in cui, invece, le presidenziali le vincono i Fratelli musulmani. Entrambi gli autori sono pubblicati dalla stessa casa editrice, Flammarion, e sembra che Houellebecq abbia letto i Selvaggi e gli siano anche piaciuti. Ha ragione Louatah: la Francia stenta a riconoscere l’evidenza, anche quando le viene presentata in modo così umano come nei Selvaggi.

Al centro del clan Nerrouche, ci sono i due fratelli nemici: Nazir e Fouad. Caino e Abele danno due interpretazioni opposte della stessa difficoltà a gestire il razzismo francese verso gli “arabi”. Nazir propende a combatterlo con le armi e il terrorismo, mentre Fouad preferisce cercare di raggiungere il successo. Fouad è bello, un attore per il quale “l’importante è agire come un individuo”. E come i migliori nemici, sembrano chiaramente essere due facce della stessa medaglia, come riconosce lo stesso Louatah: “In me ci sono entrambi, Fouad seduttore e ottimista sono io di buon umore, Nazir è quello che non sopporta questa Francia che non gli darà mai una possibilità, qualsiasi cosa succeda”.

Louatah sta ora lavorando all’adattamento del libro per una serie tv: “La serie si basa sulle relazioni sentimentali. Mi vergognavo di dirlo, ma ho anche guardato tanto le serie tv, e il loro ritmo scongiura la morte, non finiscono mai, non si lasciano mai i personaggi” e i quattro volumi hanno chiaramente la forza delle serie.

Fadila, la mamma di Laouath che ha ispirato il personaggio della vitale, coraggiosa e simpatica Rabia, ha deciso di cambiare nome da giovane, per farsi chiamare Hayete (vita). Sabri ironizza sul fatto che anche lui dovrebbe “cambiare” il suo cognome, tornando a quello della famiglia in Algeria, Al Waddah (la luce, in arabo): “Ma la Francia coloniale l’ha cambiato in Louatah, che non significa più niente”. Però è importante chiamare le persone con il proprio nome…

Sabri Al Waddah lo sa. Per questo è riuscito a descrivere in modo gioioso, profondo e soprattutto vero, una tribù francese cabila e araba allo stesso tempo.

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