16 settembre 2007 12:10

Le ragioni per cui detesto il presidente George W. Bush sono varie. E molte hanno a che vedere con la sua beata idea che la “fede” sia, in sé, una virtù. Questa mentalità compiaciuta spiega quasi tutto, dall’espressione tronfia del suo volto al modo in cui, quando era governatore del Texas, firmò tutte quelle condanne a morte senza batter ciglio.

Spiega come mai ha abbracciato l’ex sgherro del Kgb Vladimir Putin, citando come base del loro bel rapporto il fatto che Putin portasse un crocifisso. Bush è convinto che non esistano prove dell’evoluzione delle specie, che la ricerca sulle cellule staminali sia qualcosa di sacrilego e che l’islam sia “una religione di pace”.

Comunque sia, ho sempre concordato con lui su una questione laica: il regime di Saddam Hussein andava rovesciato da tempo. So che alcuni critici dell’intervento in Iraq attribuiscono anche questa scelta a motivi religiosi. E che molti evocano la lezione del Vietnam.

Ho scritto migliaia di parole per cercare di dimostrare che non ci sono analogie tra i due conflitti. Ma poi, intervenendo al recente raduno dei veterani delle guerre all’estero, il presidente Bush ha detto che una sconfitta in Iraq sarebbe un altro Vietnam. Mentre mi dispero e mi chiedo se Bush non cerchi il suicidio politico, riespongo rapidamente i motivi per cui, dando man forte ai suoi critici su questa tesi, il presidente commette un errore.

1) Il Vietminh e in seguito il Fronte di liberazione nazionale (Nlf) vietnamita furono, durante la seconda guerra mondiale, alleati di Stati Uniti e Gran Bretagna contro le potenze dell’Asse; il partito iracheno Baath era invece dall’altra parte.

2) Il Vietnam si era opposto al colonialismo francese, sconfiggendolo a Dien Bien Phu: la “guerra” vera era perciò finita prima che gli Stati Uniti inviassero delle truppe nel paese.

3) Il successivo conflitto fu combattuto per mantenere una divisione forzata di un paese che cercava di riunificarsi; nel caso dell’Iraq è successo il contrario.

4) La leadership vietnamita si appellò all’Onu; i saddamiti e i loro alleati jihadisti hanno assassinato l’inviato Onu arrivato in Iraq.

5) Il Vietnam non aveva mai minacciato nessun altro paese; sotto Saddam Hussein, Baghdad ha invaso due suoi vicini, dichiarandone uno parte integrante dell’Iraq.

6) Il Vietnam fu vittima di armi chimiche; l’Iraq ha usato metodi illegali simili e ha cercato di sviluppare armi nucleari e biologiche.

7) I regimi sostenuti da Washington in Vietnam tendevano a identificarsi con una minoranza confessionale (quella cattolica), escludendo le forze laiche, nazionaliste e buddiste; il governo iracheno può anche avere una connotazione settaria, ma almeno attinge a popolazioni maggioritarie finora represse (curdi e sciiti), mentre l’ambasciata americana cerca di attenuare le divisioni religiose ed etniche anziché alimentarle.

8) Il presidente Eisenhower ammise che, se in Vietnam si fosse votato, avrebbe vinto Ho Chi Minh; i successori del partito Baath si sono rifiutati di partecipare alle elezioni in Iraq e i loro alleati jihadisti hanno minacciato di uccidere chiunque fosse andato a votare.

9) In Vietnam gli americani usarono metodi e armi che prendevano di mira i civili. Oggi chi porta avanti una guerra indiscriminata contro gli innocenti è chi mette le bombe nelle strade di Baghdad.

Quest’elenco non è esaustivo, ma metterà in guardia da ogni paragone semplicistico. Si potrebbe aggiungere che tra i risultati della rivoluzione vietnamita ci fu una forma sicuramente rozza di socialismo di mercato, ma anche una certa modernizzazione; una forte resistenza all’espansionismo cinese; e una spedizione militare che depose il regime genocida dei Khmer rossi in Cambogia.

È vero che il crollo dell’avventura americana in Indocina fu seguito da una pesante repressione e dall’esilio di un numero enorme di vietnamiti. Ma fu un fatto minore, se paragonato alle enormi perdite provocate dalla guerra. In Iraq il genocidio, la repressione e l’aggressione hanno preceduto l’intervento della coalizione e sono stati condannati da una serie di risoluzioni dell’Onu.

Bush ha tenuto il suo discorso proprio mentre il ministro degli esteri francesi Bernard Kouchner era in visita a Baghdad e abbracciava alcuni combattenti iracheni e curdi per la libertà, come il presidente Jalal Talabani. Ci vuole una bella idiozia politica e morale per scegliere, in un momento simile, di mostrarsi nostalgico della guerra americana in Indocina, ereditata dal moribondo colonialismo francese.

Se un punto è assodato nella memoria americana e internazionale, è che la guerra del Vietnam fu nel migliore dei casi una scelta folle e nel peggiore una campagna di aggressione e atrocità.

Ma l’ironia non colpisce solo Bush. Basta cambiare il nome del paese di cui parliamo e diventa chiaro che in Iraq non stiamo combattendo i vietcong ma i Khmer rossi, come alla fine i vietnamiti dovettero fare a nome nostro.

La logica della storia è spietata e Bush non sarà l’unico ad accorgersene.

*Traduzione di Nazzareno Mataldi

Internazionale, numero 709, 7 settembre 2007*

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