14 settembre 2021 17:26

In questi giorni al Festival di Mantova sta andando in onda una trasmissione radiofonica intitolata Tournée italiana in cui mi hanno chiesto di ripercorrere band e artisti italiani in base alle regioni, come ipotizzavo tempo fa in questa rubrica. Un Viaggio in Italia stile Guido Piovene che sarebbe bello qualcuno facesse sul campo, prima o poi.

Mentre compilavo le liste pensavo a quanto sia sempre più straniante legare le forme d’arte alla contingenza di una nazione, a una sempre storta idea di patria, se non attraverso l’uso della lingua. Così, pensando alle artiste e artisti che ho scelto, da Mai Mai Mai a Cemento Atlantico, da Silvia Tarozzi a Martina Bertoni, mi è venuto in mente l’ultimo romanzo di Mario Desiati, che prende il concetto di spatriati dal dialetto pugliese per indicare coloro che sono fuoriusciti e se ne sono andati dal paese, ma pure quelli che non si sono mai mossi da lì ma ci sono rimasti inquieti.

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Più che tra le regioni, che possono essere finzioni convenzionali tanto quanto le nazioni, volevo fare un viaggio tra paesi, Appennini, ecosistemi, camerette, scantinati e strade e perfino processioni, tra unità atomiche più condensate, che spesso si rapprendono in un centro o in una periferia. E trovare lì tanti spatriati, artisti che dimostrano come ci sia vita oltre la trap, e come sia possibile raccontarla attraverso un italiano che inciampa o sparisce del tutto: dall’internazionale del rapper del conflitto Speranza alla lingua dell’errore di Iosonouncane fino ai campionamenti e alla smaterializzazione di riti di tanti anni in Sud e magia di Egisto Macchi.

Questo articolo è uscito sul numero 1426 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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