08 dicembre 2017 09:44

Il 5 dicembre l’Austria è entrata nella lista dei paesi che riconoscono il matrimonio egualitario e, entro il 1 gennaio 2019, anche le coppie dello stesso sesso potranno convolare a nozze.

In realtà le coppie omosessuali austriache già godevano di quasi tutti i diritti di quelle sposate, incluso quello all’adozione e alla fecondazione assistita. Ma la corte costituzionale ha comunque deciso di abolire la distinzione tra unione civile e matrimonio perché ha ritenuto che dallo stato civile di una persona si conosca automaticamente anche il suo orientamento sessuale, violando così il suo diritto alla riservatezza. Come a dire: se sei omosessuale lo si capisce già dal tuo documento d’identità.

“Le persone che hanno contratto un’unione civile”, si legge nella motivazione della sentenza, “sono obbligate a dichiarare la propria omosessualità anche in situazioni in cui questa non è, e non dev’essere, rilevante”.

Con la decisione dell’Austria, dunque, l’Unione europea raggiunge una tappa importante: ora la metà dei paesi membri riconosce il matrimonio egualitario.

Tra i restanti quattordici paesi che ancora discriminano in qualche modo le coppie gay – tutti i paesi dell’Europa orientale, la Grecia, Cipro e l’Italia – ce ne sono sette, tra cui il nostro paese, che riconoscono almeno una serie di diritti fondamentali attraverso istituzioni come le unioni civili o le convivenze registrate.

La Polonia e l’Ungheria hanno introdotto una modifica costituzionale per stabilire che il matrimonio sia solamente quello tra persone di sesso opposto. E a loro potrebbe aggiungersi presto la Romania, dove il governo ha annunciato un referendum per emendare la costituzione, che al momento si riferisce genericamente ai “coniugi” e si presta a un’interpretazione liberale.

Il caso della Romania
Nel frattempo, però, potrebbe esserci una battuta d’arresto importante a proposito del governo di Bucarest. La Corte di giustizia europea, infatti, ha appena cominciato a esaminare il caso di un cittadino romeno, che ha regolarmente sposato un americano in Belgio e che una volta tornato a vivere in Romania ha chiesto che il marito possa risiedere con lui.

Se il coniuge statunitense fosse stato una donna non ci sarebbero stati problemi, ma poiché Bucarest non riconosce le unioni omosessuali, neanche quelle contratte all’estero, non ha concesso il permesso di soggiorno al cittadino statunitense.

La Corte europea di giustizia ora potrebbe stabilire che i diritti dei cittadini europei e dei loro coniugi stranieri si estendono anche alle coppie dello stesso sesso e che, sulla base del principio della libertà di movimento, le coppie gay possono spostarsi, risiedere e lavorare liberamente all’interno dell’Unione, a prescindere dalle posizioni dei singoli paesi.

Una sentenza del genere avrebbe un impatto profondo non solo per la Romania, ma per tutti i paesi che ancora non garantiscono gli stessi diritti alle coppie gay.

Tra questi ci sono l’Italia e la Grecia, che la sentenza della corte costituzionale austriaca fa ripiombare in una situazione imbarazzante. A meno di due anni da quando hanno faticosamente introdotto le unioni civili, sono già tornati a essere i fanalini di coda dell’Europa occidentale, dove tutti gli altri paesi ormai garantiscono pieni diritti matrimoniali a tutti.

Ma poi c’è anche lo strano caso dell’Irlanda del Nord. Nonostante il matrimonio egualitario goda del supporto della maggioranza sia dell’opinione pubblica sia del parlamento di Belfast, il Partito unionista democratico (Dup) continua a esercitare il suo speciale diritto di veto per bloccare l’introduzione del matrimonio egualitario, isolando la regione rispetto al resto del Regno Unito e dell’Irlanda.

Ora poi che il partito è entrato nella maggioranza di governo a Londra, per salvare Theresa May dal suo disastroso esito elettorale di giugno, sembra molto improbabile che la situazione si sblocchi in tempi brevi. E anche in questo caso è probabile che la tutela dei diritti civili arrivi dalle aule di tribunale.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it