14 marzo 2017 17:00

Ricordate Sabrina, la francese che ha lasciato il suo nome sulla pietra del Colosseo? Flaubert, in una lettera del 1850, registrava le gesta di un suo antesignano, il cui nome era Thompson di Sunderland. Un imbecille, secondo l’autore di Madame Bovary, la cui grande impresa era stata marchiare con la sua firma a grandi lettere la colonna di Pompeo ad Alessandria. Con questo gesto si era incorporato al monumento in modo tale che il suo nome si vedeva più della colonna.

Proprio una stupidaggine, dunque, ma come tutte le stupidaggini che interessavano Flaubert sicuramente significativa. Thompson si era aggrappato a qualcosa di visibile e durevole per darsi, parassitariamente, visibilità e durevolezza. Il suo era stato un fregiarsi sfregiando ciò che ha una sua fama e durata. Niente di più comprensibile oggi, quando cresce sempre più un’aspirazione di massa alla notorietà che si acquieta un poco, tristemente, solo quando sui giornali o via internet, con una genuflessione o uno sputo, si lega il proprio nome a personaggi celebri e celebrati. Sotto il gestaccio dei Thompson covano parecchie cose: lo scontento di folle superficialmente acculturate; il desiderio di sgraffignare un pizzico di immortalità; il vecchio bisogno di procurarsi una vita e una tomba a ridosso di una qualche piramide faraonica, in modo da scansare la sepoltura nella sabbia del deserto.

Questa rubrica è stata pubblicata il 10 marzo 2017 a pagina 12 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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