24 ottobre 2013 12:30

Il primo trattato di zoologia arrivato fino a noi è stato elaborato da Aristotele. Per molto tempo i filosofi hanno fatto lo stesso mestiere di chi, oggi, viene chiamato scienziato. Poi le strade si sono divise. Si sono in parte riunite quando i filosofi si sono messi a studiare la scienza e, così facendo, hanno esaminato come entomologi gli schemi comportamentali degli scienziati (trattati come insetti). Devo dire che spesso, agli scienziati, non importa granché di filosofia della scienza. Nelle facoltà di scienze è raramente insegnata, ed è un errore madornale. D’altronde c’è pochissima scienza nei corsi di laurea di filosofia. Poi è arrivato Popper e, per un po’, il mondo scientifico si è sentito in dovere di seguire i suoi dettami su come si deve fare scienza.

Semplificando (come è necessario in un articolo non tecnico), direi che Popper basò la sua filosofia sull’idea che non si può verificare un bel niente. Verificare significa: dimostrare il vero. La verità non è alla nostra portata. Possiamo solo tentare di dimostrare che qualcosa sia falso. Fino a quando non ci riusciamo, riteniamo provvisoriamente vero quel che abbiamo presupposto, ma se troviamo un solo esempio contrario, ecco che abbiamo falsificato il nostro assunto, e lo dobbiamo rigettare: lo abbiamo falsificato. Popper disse anche che la scienza deve produrre enunciati falsificabili. Se produco un enunciato non falsificabile, cioè che è sempre vero, spiego tutto ma, in effetti, non spiego niente. Chiaro no? Per me non era chiaro, ma non avevo voglia di dimostrarmi così scemo, e facevo finta di capire. Popper fece un esempio per spiegare il suo ragionamento, un esempio zoologico: “Tutti i corvi sono neri”. Diciamo che questo è un enunciato. Bene, non riuscirò mai a vedere tutti i corvi, quelli passati, quelli presenti e quelli futuri. E quindi non posso essere sicuro che “tutti i corvi” siano effettivamente neri. Fino a quando trovo corvi neri posso ritenere provvisoriamente vero l’enunciato, ma se trovo un corvo bianco… ecco che lo devo rigettare.

Dato che sono uno zoologo, e l’esempio è di zoologia, dico: vabbè, d’accordo, ci sono i corvi albini, e allora? Anatema. Questa è una spiegazione ad hoc. E non permette comunque di accettare “tutti i corvi sono neri”. Va bene, ma allora se voglio studiare i corvi, che dico del loro colore? Non è scienza? Ma allora perché usare questo esempio? Non sono riuscito a trovare risposta (forse perché mi sono indispettito e ho smesso di leggere, anche se mi pare di essere arrivato fino in fondo).

Dopo grande ponderazione capii il significato di “spiega tutto e allora non spiega niente”, e formulai questo enunciato: “I corvi possono essere di tutti i colori”. È ovvio che questo enunciato sarà sempre vero, ma che me ne faccio? Giusto: spiega tutto e non spiega niente. Per spiegare la logica popperiana ai biologi marini, un grande esperto di ecologia, invece di scegliere i corvi, scelse gli squali e formulò: “Non ci sono squali nella baia”. Non ha importanza quante volte io non trovi uno squalo nella baia: non potrò mai dire che il mio enunciato è vero, potrò solo dire che non è falso. Ma se poi trovo uno squalo nella baia, a patto che mi lasci vivo, potrò dire di averlo falsificato. E quindi: non posso verificare nulla, posso solo falsificare. Mi gratto la testa e formulo: “Ci sono squali nella baia”. Attenzione. Un enunciato è “NON ci sono squali nella baia”, l’altro è “ci sono squali nella baia”. Nel secondo caso, non ha importanza quante volte io non trovi uno squalo, questo non significa che l’enunciato sia falso, ma se trovo anche UNO squalo, allora l’enunciato è vero: ci sono squali nella baia! Ma allora posso anche verificare!

Vado da un amico epistemologo (il bello di lavorare in un’università è che trovi sempre qualcuno con cui parlare di cose che non conosci) e gli chiedo: che differenza c’è tra “non ci sono squali nella baia” e “ci sono squali nella baia”? Semplice: il primo è un enunciato universale, si riferisce all‘“universo” squali, mentre il secondo è un enunciato esistenziale, e si riferisce a proprietà che potrebbero essere anche di una parte di quell’universo. Gli enunciati universali non si possono verificare, ma solo falsificare, mentre quelli esistenziali non si possono falsificare, ma solo verificare. Wow, mi si aprono nuovi orizzonti, perché queste cose hanno ricadute sulla teoria dell’evoluzione. Negli anni settanta, Eldredge e Gould (due zoo-paleontologi) formularono la teoria degli equilibri punteggiati (l’evoluzione procede per salti evolutivi inframmezzati a lunghi periodi di stasi evolutiva) e la contrapposero al gradualismo darwiniano (l’evoluzione procede per piccoli cambiamenti che, gradualmente, sommandosi, danno origine a grandi cambiamenti). Gould, un popperiano di ferro, disse che gli equilibri punteggiati avevano falsificato il gradualismo darwiniano. Non fa piacere essere falsificati, e quindi i gradualisti, trovati esempi di gradualismo, dissero di aver falsificato il saltazionismo. I creazionisti non aspettavano altro: vedi che si falsificano a vicenda? L’evoluzione è falsa, ha fatto tutto Dio.

Ora vi svelo un segreto: non sono il gradualismo o il saltazionismo a essere falsi, è falsa la loro universalità. L’evoluzione procede a volte per salti e a volte gradualmente: sono veri entrambi, ma non sempre. Non c’è un modo solo. Tornando agli squali, non si può dire “l’evoluzione avviene per salti” o “l’evoluzione avviene gradualmente” (enunciati universali, falsificati dall’esistenza delle due modalità), ma si può dire: “esiste l’evoluzione per salti e esiste l’evoluzione graduale” (enunciato esistenziale). E quindi non c’è una legge, con la formula, tipo quelle della fisica.

Lo ha spiegato Darwin, nell’

Origine delle specie: “Getta in aria una manciata di piume e tutte cadranno al suolo secondo leggi ben definite (nota: si riferisce a Newton e Galileo). Ma come è semplice questo problema se lo confrontiamo alle azioni e reazioni degli innumerevoli animali e piante che hanno determinato, nel corso dei secoli, i numeri proporzionali e le specie di alberi che ora noi vediamo su quelle vecchie rovine indiane”. Darwin ci spiega la differenza tra la fisica e la biologia. Le leggi ben definite della fisica sono enunciati universali. Mentre la biologia si basa su enunciati esistenziali. Se i biologi cercano enunciati universali… arrivano alla fisica. Ernst Rutherford pronunciò una frase famosa, sintomo di un insano complesso di superiorità: “Nella scienza esiste solo la fisica; tutto il resto è collezione di francobolli”. Ironia della sorte: gli diedero il Nobel per la chimica!

Le scienze che studiano problemi semplici (per dirla con Darwin) sono matematizzabili, mentre quelle che si occupano di problemi complessi no, non lo sono. Semplice vuol dire che avviene in un solo modo (universale), complesso vuol dire che può avvenire in tanti modi (esistenziale): i francobolli di Rutherford. Antonino Zichichi in diverse occasioni scrisse che l’evoluzione non è una scienza e giustificò questa frase dicendo che non c’è l’equazione dell’evoluzione. E neppure l’esperimento probante e quindi, se non c’è equazione, non è scienza. In realtà il punto è che ci sono scienze a-storiche, governate da leggi (universali), e ci sono scienze storiche, governate da leggi e da contingenze (esistenziali). La fisica classica è una scienza a-storica, la biologia è una scienza storica (l’evoluzione cerca di ricostruire la storia della vita, e non c’è l’equazione della storia). Se si usano i criteri delle scienze a-storiche per valutare le scienze storiche (e anche viceversa, ma questo non avviene mai) si fa un errore epistemologico. E poi si convince il ministro Moratti a togliere l’evoluzione dai percorsi della scuola dell’obbligo.

Sono più importanti le scienze storiche (basate su enunciati esistenziali) o quelle a-storiche (basate su enunciati universali)? Domanda oziosa. Sono tutte importanti. Sarebbe come chiedere se è più importante la grammatica o la sintassi. Sono entrambe necessarie, e chi le insegna sarebbe un fesso se dicesse che sono più importanti della letteratura, no?

Esiste un’unica grande realtà che possiamo analizzare da tanti, tantissimi punti di vista. E il compito della scienza è di ricomporre questi punti di vista in un’unica grande visione. Io la chiamo cultura.

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