03 febbraio 2017 13:12

Nessuna caduta di stile e sostanza rispetto all’anno scorso nella 44ª edizione del festival internazionale del fumetto di Angoulême, manifestazione simbolo nel più importante mercato del fumetto europeo (la Francia) in cui l’autore belga Hermann ha ricevuto il Gran Prix de la Ville, un riconoscimento alla carriera che questo maestro del fumetto popolare, spesso geniale, avrebbe dovuto avere già da tempo. Appassionanti, poi, le esposizioni dedicate ad autori affermati o storici, come lo statunitense Will Eisner, il giapponese Kazuo Kamimura, il francese Jean-Claude Meziéres, disegnatore della splendida e molto popolare saga fantascientifica Valerian (quest’estate uscirà il film di Luc Besson), o a nomi emergenti come la sceneggiatrice Loo Hui Phang, francese di origini laotiane che Internazionale ha avuto il piacere di ospitare a Ferrara nel 2014, o il croato Miroslav Sekulic. Il palmarès del festival ha premiato il fumetto d’autore d’avanguardia in un bell’equilibrio d’insieme con quello più classico.

L’edizione del 2016 era stata segnata dalle polemiche sull’assenza di donne, e dal fatto che un comico francese chiamato a condurre la serata di premiazione, malgrado una certa inventiva, aveva inanellato alcune gaffe. Non si è voluto rimediare già quest’anno dando il Gran prix de la ville a una donna, ma in qualche modo si è cominciato a porre rimedio alla questione con la nomina a presidente della giuria della britannica Posy Simmonds, autrice, tra gli altri, del notevole Tamara Drewe, adattato al cinema da Stephen Frears.

Un’edizione senza polemiche
Nel complesso le cose sembrano essere andate meglio dell’anno scorso, ma il festival deve urgentemente rinnovarsi. Anche perché il calo di presenze è stato evidente. Per il concorso del 2016 erano stati selezionati 42 titoli, di cui dieci sono stati trattenuti dal Grand jury. Premiando un’opera come Paysage après la bataille, come miglior libro è stata lanciata una sfida, l’idea cioè che un festival importante debba mettere in evidenza le opere più forti e innovative. Nel caso del libro, molto lungo ed estremamente visivo, dei belgi Eric Lambé (immagini) e Philippe de Pierpont (narrazione), siamo nell’ambito di un’opera decisamente forte e innovativa, e la collana di fumetti dell’editore francese Actes Sud costituisce uno degli esempi di ricerca e di rivelazione di autori sorprendenti tra i migliori d’Europa.

Paysage après la bataille è un’opera sulla marginalità odierna, sui disadattati prodotti dalla nuova povertà (disadattati nei quali si può riconoscere un numero crescente di persone, anche quando non sono ancora impoverite economicamente), un’opera che esprime alta poesia, atmosfere forti, profonde, pregnanti, e costituisce un grande esempio di come l’astrazione sia una modalità principe per raccontare questioni gravi, concrete. Lavorando con finezza su continue allegorie e metafore visive rende sempre più forte la realtà a mano a mano che la narrazione avanza.

Il pubblico del festival di Angoulême, il 28 gennaio 2017. (Yohan Bonnet, Afp)

Parte dall’ombelico, cioè la nascita, la morte, il lutto, per farci innalzare con forza sopra di esso e farci cogliere invece il paesaggio generale, il fatto che siamo tutti singoli dettagli nella terribile battaglia generale, quella di tutti noi. Limbo o inferno congelato, il lavoro è magistrale nella sottrazione grafica. E l’opera entusiasma, alla fine, per la sua grande umanità. Come gran parte del miglior fumetto (anche quello più classico, che si tratti di Schulz, Hergé, Caniff), Lambé e de Pierpont riescono nell’impresa di raggiungere la profondità nella semplicità.

Martin Veyron è un veterano del fumetto di satira sociale degli anni ottanta, anche se in Italia è poco noto. Il suo Ce qu’il faut de terre à l’automne, tratto da un racconto di Tolstoj, ha vinto il premio speciale della giuria e sicuramente, senza voler competere con lo scrittore russo, crea un’interessante sinfonia grafica lavorando molto sul découpage delle tavole e rafforzando così non poco l’intensità delle atmosfere. Finalmente trova una vetrina di rilievo la sudcoreana Ancco (Mauvaises filles, premio rivelazione) con le sue storie profonde sulla condizione femminile e più in generale sulla condizione umana. Su Ancco puntarono già anni fa in Italia la rivista Black della Coconino e una bella esposizione al festival bolognese di Bilbolbul.

Ancco non è l’unica orientale finita nel palmarès. Il premio per la miglior serie è andato a Chiisakobé di Minetaro Mochizuki (dal romanzo di Shûgorô Yamamoto), mentre il premio del Patrimonio ha celebrato il giapponese Kazuo Kamimura e il suo Le club des divorcés, le cui storie di donne e amori afflitti dalla dittatura delle convenzioni sociali sono tutte da scoprire. Kamimura è stato il protagonista anche di una bella esposizione (già vista all’ultimo Lucca Comics e ampliata qui a Angoulême). In Italia Kamimura è pubblicato dalle edizioni Bd/Jpop, e in primavera dovrebbe arrivare il titolo qui premiato.

Cosey e Guibert
Il pubblico ha premiato il bestseller (in Francia) L’uomo che uccise Lucky Luke di Mathieu Bonhomme. Certo un premio non molto originale, ma non sempre è necessario essere originali, perché il libro è un gioiello e Bonhomme, che meritava pienamente questo riconoscimento, un autore da seguire. In Italia Bonhomme è pubblicato da Nona Arte. Il premio per il miglior poliziesco è andato all’ottimo L’estate Diabolika (uscito in Italia per Bao publishing) dello sceneggiatore e storico-teorico Thierry Smolderen e del disegnatore Alexandre Clérisse, davvero un bell’esempio di profondità (e d’inquietudine) nella semplicità, nella leggerezza pop. Il premio Jeunesse è andato all’eccellente Mickey Mouse di Tebo (La jeunesse de Mickey) inserito all’interno dell’altrettanto eccellente collana (che l’editore Giunti sta portando in Italia) dove il Topolino disneyano è reinventato da autori fuori dagli schemi del fumetto popolare, come appunto Tebo, o da autori di rilievo del fumetto d’autore come Lewis Trondheim, Régis Loisel o lo svizzero Cosey.

Una mostra al festival di Angoulême, il 28 gennaio 2017. (Yohan Bonnet, Afp)

E arriviamo così al Grand prix, assegnato proprio a Cosey, autore di fumetto popolare e d’autore insieme. Fine, molto sincero, il tono umanistico delle storie, che giocano con il manierismo di certi dialoghi del fumetto o del cinema per il grande pubblico, può far pensare ai nostri Berardi & Milazzo. Graficamente è a suo modo sperimentale, influenzato dalla lezione dei disegni al tratto di Matisse ma con echi dal concettuale, compreso l’utilizzo dei suoi delicati colori pastello (e il suo Mickey Mouse è in fondo un meta-fumetto per tutti). Cosey è stato a lungo al crocevia tra classicismo e sperimentazione all’interno del fumetto di genere, è quindi davvero un paradosso che venga attaccato dalla stampa come esempio della tradizione, della regressione verso il classicismo a cui il festival vuole sottrarsi. Su quest’ultimo punto concordiamo. Il premio Goscinny, assegnato a Guibert, sembra più sensato, perché il suo Il fotografo (realizzato insieme a Didier Lefèvre e Frédéric Lemercier), in fondo è proprio l’ampliamento e la prosecuzione di una ricerca sulla sperimentazione grafica (di livello sempre più alto) nascosta nella tradizione apparente.

Appunti per il rinnovamento
Diversi sono gli elementi che hanno giocato contro il festival. Crisi economica, il clima di paura causato dal terrorismo, ma forse anche una specie di saturazione creata da grandi esposizioni “evento” che si sono svolte nella capitale. Pensiamo alla mostra dedicata a Hergé, il creatore di Tintin, al Grand Palais, appena conclusa, a quella di maestri del dopoguerra come Franquin (il creatore, tra gli altri, di Gaston Lagaffe, ancor oggi autore umoristico popolarissimo) al Centre Pompidou che si concluderà ad aprile, o a quella appena inaugurata dedicata al fumetto e la shoah (al Mémorial de la Shoah), o infine a Machines à dessiner, dovuta a due firme di spicco del fumetto d’autore come i belgi Schuiten e Peeters (autori del ciclo dalle notevoli vendite delle Città Oscure), al Musée des Arts et Metiers, prolungata fino alla fine di marzo. Tutti questi eventi non possono non penalizzare le esposizioni decentrate. Volendo privilegiare la manifestazione di Angoulême, forse il ministero della cultura francese dovrebbe imporre una breve moratoria sulle grandi mostre dedicate al fumetto, nei due-tre mesi che precedono il festival. Ma sembra una soluzione improbabile.

Per attirare il grande pubblico si potrebbe porre maggiore attenzione ai manga, si potrebbe dare più spazio a esposizioni sulle tendenze del fumetto d’avanguardia declinandole anche su tematiche o argomenti trasversali e non solo su singoli autori, in modo da richiamare maggiormente il pubblico colto. C’è infine bisogno di aumentare la dimensione internazionale del festival e su questo ci sarebbe molto da dire. Fondamentale il ruolo del premio alla carriera. Si potrebbe pensare a un limite temporale per il Gran Prix de la Ville riguardo gli autori francofoni, premiandone per esempio uno ogni tre anni, e un nuovo metodo di nomina, non più fatto dagli autori stessi.

Inoltre, si potrebbe pensare a un’alternanza di nomi forti per il grande pubblico (Rumiko Takahashi per il 2018? Frank Miller?) e di nomi d’avanguardia che aspettano da un certo tempo (Chris Ware, David Mazzucchelli, Charles Burns, Daniel Clowes, Mattotti, Igort), mentre per i francofoni si dovrebbe guardare finalmente ai più talentuosi delle ultime generazioni, come il già citato Guibert, David B, Fréderic Bézian, Hugues Micol, lo sceneggiatore Benoît Peeters. Magari colmando prima lo scandalo di alcuni grandi autori ancora senza riconoscimento: Edmond Baudoin, Loustal, Andreas, Serge Clerc, Chantal Montellier.

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