31 maggio 2020 10:01

Immaginate di citare William Shakespeare a un laureato e scoprire che non l’ha mai sentito nominare: sareste increduli. Eppure è normale non sapere cosa siano gli artropodi o i vertebrati, o non conoscere la differenza tra un insetto e un ragno. Nessuno s’imbarazza quando una persona “istruita” non riesce a spiegare cosa siano l’effetto serra, il ciclo del carbonio o quello dell’acqua, o come si forma il suolo. Sono tutte nozioni di base, come sapere che Shakespeare era un drammaturgo. Eppure alcuni a volte ostentano la loro ignoranza di cose così importanti come se fosse un segno di raffinatezza. Amo Shakespeare e credo che il mondo senza di lui sarebbe più triste. Però senza di lui sopravvivremmo, mentre altre informazioni sono questioni di vita o di morte.

Non incolpo nessuno perché non sa. È un fallimento collettivo, una grave lacuna nella nostra pedagogia, pensata per un mondo che non è più quello in cui viviamo. Il modo in cui le cose ci vengono insegnate non ci mette sulla strada giusta per capire chi siamo e dove ci troviamo. Nelle teorie economiche convenzionali, per esempio, il genere umano è al centro dell’universo e le limitazioni poste dalla natura o sono invisibili o sono marginali. Quindi veniamo formati in vista di un successo individuale nella competizione con gli altri, proprio in un’era in cui la collaborazione è una necessità sempre più urgente. I governi ci raccontano che l’obiettivo dell’istruzione è superare gli altri o, sul piano collettivo, gli altri paesi. Il metro di misura della qualità delle università è, in parte, lo stipendio base dei laureati al primo impiego. Ma questa gara non ha vincitori. Quello che consideriamo successo economico è la rovina del pianeta.

Oggi molte persone respingono questo modo di pensare. Secondo un sondaggio pubblicato un paio di settimane fa, sei cittadini del Regno Unito su dieci vorrebbero che, superata la pandemia, il governo desse la priorità alla salute e al benessere rispetto alla crescita economica. È un risultato che fa ben sperare. L’istruzione dovrebbe partire dai nostri obiettivi principali. Questo non significa che dobbiamo lasciar perdere Shakespeare, ma che bisogna dare il peso giusto alle questioni essenziali per la nostra sopravvivenza.

Mettere l’ecologia e le scienze della Terra messe al cuore dell’istruzione, visto che sono al cuore della vita

Durante il lockdown ho fatto una cosa che sognavo da tempo: ho sperimentato l’educazione ecologica. Non è stato facile, e non penso di aver fatto tutto nel modo giusto. Ed è difficile convincere un bambino a vederti ora come genitore, ora come insegnante. Però, lavorando con una bambina di otto anni e una di nove (mia figlia piccola e la sua migliore amica) sto scoprendo che quel sogno non è ridicolo. Non parlo di ecologia come materia isolata, ma di una cosa ancor più sostanziale, cioè l’ecologia e le scienze della Terra messe al cuore dell’istruzione, visto che sono al cuore della vita.

Abbiamo cominciato costruendo un quadro gigantesco formato da quindici pannelli formato A4. Ciascun pannello rappresenta un habitat, dalle montagne all’oceano profondo, e su ognuno abbiamo attaccato immagini della flora e della fauna che lo abitano. Il quadro diventa così la piattaforma da cui partiamo per esplorare i processi di ogni ecosistema e della Terra nel suo complesso. Gli ecosistemi a loro volta sono come chiavi per aprire altre porte. Un esempio: l’ecologia della foresta pluviale ti spinge ad approfondire la fotosintesi, la chimica organica, gli atomi e le molecole, e da qui il ciclo del carbonio, i combustibili fossili, l’energia e l’elettricità.

Per quanto possibile, lascio che siano le bambine a guidare in questo viaggio. Vista la circolarità dei sistemi della Terra, poco importa dove si comincia, tanto si finisce per fare il giro completo. Come in molte occasioni precedenti, mi ha di nuovo colpito l’affinità naturale dei bambini con il mondo vivente: le storie che la Terra ha da raccontare sono affascinanti di per sé.

Oggi forse abbiamo la possibilità di ripensare la didattica da cima a fondo. Le autorità scolastiche scozzesi hanno suggerito che il miglior modo per far tornare i bambini a scuola potrebbe essere fare lezione all’aperto, perché questo permette il distanziamento fisico. Una soluzione che si presta di per sé a un’immersione nel mondo vivente. Eppure, anche se gli studiosi sottolineano da anni i suoi molteplici vantaggi, i fondi per la didattica all’aperto sono stati tagliati quasi del tutto.

Questo è il momento di ripartire da zero. Approfittiamone per cambiare il modo di vedere noi stessi e il nostro posto sulla Terra. Come ha scritto l’ecologo Aldo Leopold, “uno degli svantaggi dell’istruzione ecologica è che ti fa vivere da solo in un mondo di ferite. I danni che abbiamo inflitto alla Terra restano in gran parte invisibili al profano”. È vero, ma se tutti avranno un’istruzione ecologica, non vivremo soli e il mondo non sarà fatto solo di ferite.

(Traduzione di Marina Astrologo)

Questo articolo è uscito sul numero 1359 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati

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