“Digital first”, ha annunciato qualche settimana fa il direttore del Guardian di Londra, Alan Rusbridger. E tutti hanno applaudito. Finalmente un grande giornale che decide coraggiosamente di lasciare gli ormeggi per andare incontro al futuro di internet. I sorrisi si sono spenti quando si è capito che “digital first” comporterà un numero “significativo” di licenziamenti. Il Guardian deve assolutamente tagliare i costi: nell’ultimo anno ha perso 36 milioni di euro. E il modo più rapido per risparmiare è ridurre i dipendenti, che oggi sono 1.500, di cui 630 giornalisti. “Digital first”, però, significa anche ripensare il giornale e il rapporto con i lettori: metà delle persone che comprano il Guardian lo legge la sera e solo il 4 per cento si aspetta di trovare una notizia dell’ultima ora sull’edizione cartacea. Il Guardian è in calo (è sceso a 300mila copie, il 12,5 per cento in meno in un anno), ma il suo sito cresce (del 47,4 per cento negli ultimi dodici mesi, arrivando a 50 milioni di visitatori al mese). La conclusione di Rusbridger, quindi, sembra ragionevole: “I nostri lettori sono più avanti di noi. Vogliono le notizie sul sito e l’approfondimento nel giornale”. Jeff Jarvis, esperto di giornalismo digitale e columnist del Guardian, si spinge oltre: in fondo un grande quotidiano, con un grande sito, può anche permettersi di non uscire più tutti i giorni. E diventare un settimanale.
Internazionale, numero 905, 8 luglio 2011
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