14 febbraio 2019 15:40

Per molti è stato uno choc, per altri un déjà-vu. La crisi tra Italia e Francia (paesi con una lunga storia di liaisons, non sempre dangereuses) è scoppiata dopo la visita di Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista ai leader dei gilet gialli, ma si trascina da mesi in un tour de force di battute e insulti, cliché e calembour. Riguarda diversi dossier con un solo fil rouge: la ricerca di un nemico, ça va sans dire.

Matteo Salvini è l’enfant terrible di ogni bagarre, anche sdraiato su un sofa twitta à gogo con grande nonchalance accompagnando il suo partito in un crescendo di exploit. Di Maio invece non ha il physique du rôle, sembra sempre un parvenu a volte un po’ naïf. E ha trovato l’escamotage degli attacchi alla Francia per uscire dall’impasse e coprire la débâcle. Ma se il premier Giuseppe Conte, da tutti considerato poco più che una mascotte, ha deciso di far prevalere il laissez-faire, gli interventi del presidente della repubblica Sergio Mattarella sono diventati una routine.

Da habitué della politica qual è, con il suo aplomb senza nuance cerca di rimediare alle gaffe dei due vicepremier e del loro entourage. Oggi i leader del passato ci sembrano vintage ma, chapeau, avevano solide équipe. E il ballon d’essai di Matteo Renzi si è rivelato per quel che era, semplice maquillage su un pot-pourri senza charme: si è sgonfiato come un soufflé e ha ridotto la sinistra a un souvenir.

Adesso tutti aspettano un coup de théâtre, l’arrivo di un enfant prodige, o di una femme fatale, che abbia un minimo di savoir-faire e sappia andare al rendez-vous delle elezioni europee evitando, se possibile, una colossale défaillance. Ma la trama somiglia sempre di più a quella di un noir. E molti si sentono in un cul-de-sac. O come al casinò, quando al tavolo della roulette il croupier fa girare la pallina e annuncia, con tono per niente frou-frou: “Les jeux sont faits, rien ne va plus”.

HT Simone Rovellini

Questo articolo è uscito nel numero 1294 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati

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