06 aprile 2020 15:33

Gentile bibliopatologo, mia figlia di dodici anni legge solo gialli di Agatha Christie, quando le passerà?

– Corrado

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Gentile bibliopatologo, ho snobbato il piccolo mago per anni e ora sono diventato Harry Potter dipendente. Temo il momento in cui avrò finito di leggere e di rileggere ai miei figli i sette volumi della saga. Con cosa colmerò il vuoto?

– Marco

Caro Corrado, caro Marco,
per quel che mi riguarda non siete dei pazienti, siete dei sintomi. Per l’esattezza, siete sintomi di un processo (non si sa se evolutivo o degenerativo) diagnosticato nel 1982 dal critico culturale Neil Postman nel libro La scomparsa dell’infanzia, e studiato con meno grossolanità da Joshua Meyrowitz in un saggio di tre anni dopo, Oltre il senso del luogo.

Elva Etienne, Getty Images

L’infanzia come siamo abituati a conoscerla – un’età della vita protetta dagli agguati del mondo là fuori, esonerata dalle responsabilità, tutta dedita al gioco, alla tenerezza e alla fantasia, dove non si parla mai di sesso, morte e soldi – non è sempre esistita. È un’idea moderna, che ha cominciato a farsi strada in Europa nel sedicesimo secolo. Postman e Meyrowitz ritengono che l’invenzione dell’infanzia sia andata di pari passo con la diffusione di un’altra invenzione, quella della stampa a caratteri mobili.

Spettacoli ibridi
Non starò a riassumervi due libri in poche frasi, ma vi basti sapere questo: la stampa consente di creare canali comunicativi separati – da un lato la letteratura per l’infanzia, dall’altro i libri per l’età adulta – e di mantenerli tali. Con l’avvento dei media novecenteschi, e in particolare con la televisione, assistiamo all’unificazione dei pubblici. Certo, c’erano e ci sono ancora programmi pensati per bambini e programmi rivolti agli adulti; ma da allora è sempre più inevitabile che gli uni frequentino il mondo degli altri, e che i bambini accedano alle informazioni da cui un tempo era relativamente facile schermarli. Nascono così, dicono i nostri autori, le figure complementari dell’adulto infantile e del bambino maturo. E si producono spettacoli ibridi per queste figure ibride.

Ricordate Jurassic Park? C’era un paleontologo bamboccione, eterno Peter Pan, e c’erano due piccoli secchioni, stile Giovani Marmotte, che conoscevano i suoi studi. Finivano intruppati sulla stessa jeep che li trasportava nel parco a tema con i dinosauri ricreati. È una buona allegoria (e autoallegoria) del tipo di spettacoli di cui parlo, che da allora sono diventati la regola: per fare due esempi notissimi, a chi si rivolgono i film della Pixar o i cartoni animati dei Simpson se non all’adulto infantile e al bambino maturo?

E così, capita di trovare bambini che leggono Agatha Christie – dove si parla di morte, soldi, adulterio, suicidio – e adulti che si appassionano alla saga di Harry Potter, con i suoi incantesimi, amuleti e animali fantastici. Ma per quanto la mia missione di bibliopatologo possa assegnarsi compiti megalomani, non arrivo al punto di credere di poter guarire un’epoca della storia. Godetevi i vostri sintomi, e lasciate che i pargoli si godano i loro.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it.

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