27 aprile 2022 16:03

Gentile bibliopatologo,
martedì scorso si è svolto il funerale di un professore liceale che abitava sopra il mio studio con la moglie. L’indomani, dalle prime ore del mattino, suocera e vedova hanno cominciato a trascinare lungo le scale voluminosi sacchi neri portando ai bidoni dei rifiuti giornali, vestiti, dvd e soprattutto libri che, essendo stati lasciati aperti i sacchetti, si sono sparpagliati sotto la pioggia di questi giorni. Ho vissuto il gesto della dispersione dei volumi come qualcosa di profondamente sacrilego oltre che volgare, come se avessero ucciso una seconda volta il lettore proprietario.
– Cinzia

Gentile bibliopatologo,
ho sempre creduto che sbarazzarsi malamente di un libro, per esempio gettandolo nella spazzatura, fosse un atto al limite della blasfemia. Perciò, ho istituito una piccola cerimonia per dare una veste rituale al gesto dell’abbandono: depongo la mia copia su una spalletta lungo la riva del fiume, attendendo che una mano pietosa se ne appropri. Aggiungo una breve dedica al futuro ignoto lettore. Ma, mi domando, di che rito si tratta secondo lei? Di un rito di passaggio? Un rito propiziatorio? Forse espiatorio? O addirittura un rito funebre?
– Luca

Cara Cinzia, caro Luca,
le vostre lettere, affiancate, compongono un dittico. Se si trattasse di quadri, su un pannello vedremmo il celebre Bibliotecario (1562) dell’Arcimboldo, una figura umana tutta composta di libri di varia foggia e colore; sull’altro vedremmo invece Lo studioso di Shakespeare (2003) dell’illustratore londinese Jonathan Wolstenholme, in cui un libro munito di braccia scrive su un foglio con una penna d’oca mentre nell’altra mano tiene amleticamente un teschio. Contempleremmo nel primo dipinto il bibliomorfismo del lettore; nel secondo, l’antropomorfismo del libro.

I libri somigliano agli esseri umani più di tutti gli altri oggetti inanimati, dice Joseph Conrad, “perché contengono il nostro pensiero, le nostre ambizioni, le nostre indignazioni, le nostre illusioni, la nostra fedeltà alla verità e la nostra persistente inclinazione all’errore”; soprattutto, aggiunge, “ci somigliano nel loro precario rapporto con la vita”. Temono, come noi, la morte.

Gli uomini, d’altro canto, somigliano ai libri. Lo rivela il magnifico epitaffio di Benjamin Franklin (che non fu usato, purtroppo):

Il corpo
Di B. Franklin, stampatore
Come la copertina di un vecchio libro
Le cui pagine sono state strappate,
e spogliate delle loro dorature,
giace qui, cibo per i vermi.
Ma l’Opera non andrà perduta
Perché essa, crediamo,
riapparirà ancora una volta
in una nuova e più elegante edizione
corretta e approvata
dall’Autore.

Libri come persone, persone come libri: queste analogie disposte a chiasmo spiegano molto del tuo senso di sacrilegio, Cinzia, e del tuo senso di blasfemia, Luca. Non si butta via un cadavere pezzo per pezzo nella spazzatura, come hanno fatto la vedova e la suocera del professore (perfino il losco uxoricida della Finestra sul cortile seppelliva in giardino i resti della moglie): una biblioteca è un organismo vivente, un doppio cartaceo del suo proprietario allevato e nutrito amorevolmente per una vita; bisognerebbe quanto meno lasciarlo decomporre con grazia, senza tutta questa fretta di sbarazzarsene.

Il tuo rito funebre, Luca, è l’identica forma di pietà vista allo specchio, l’immagine invertita che ci appare quando ci spostiamo sull’altro versante dell’analogia. Ma è anche un piccolo rito propiziatorio. Chissà che il tuo libro, lasciato sulla riva del fiume come Mosè nella sua cesta di canne, non venga raccolto un giorno dalla figlia di un faraone.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it