10 maggio 2020 11:00

Immaginate un mondo in cui una rete di professionisti sanitari vigila sulla comparsa di nuovi ceppi di un virus, aggiorna periodicamente i vaccini e rende queste informazioni disponibili a tutto il mondo. Immaginate che questo lavoro venga svolto senza valutazioni legate alla proprietà intellettuale, e senza che le grandi case farmaceutiche sfruttino la disperazione per fare profitti. Può sembrare un’utopia, ma in realtà è il modo in cui da cinquant’anni viene prodotto il vaccino contro l’influenza.

Il Sistema globale di sorveglianza e di risposta all’influenza (Gisrs) dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) prevede che esperti da tutto il mondo si riuniscano due volte all’anno per analizzare gli ultimi dati e decidere contro quali ceppi influenzali il vaccino dovrà essere efficace. Il Gisrs è una rete di laboratori diffusa in 110 paesi e finanziata quasi interamente dai governi. Incarna alla perfezione la cosiddetta “scienza aperta”. Visto che il Gisrs si dedica alla protezione delle vite umane, invece di pensare al profitto, è il solo a poter gestire il sapere necessario per sviluppare i vaccini.

Per combattere la pandemia in corso la comunità scientifica mondiale ha dimostrato di voler condividere le conoscenze sulle cure, coordinare test clinici e pubblicare le scoperte. In questo clima di cooperazione è facile dimenticare che da anni le case farmaceutiche hanno privatizzato il sapere comune, estendendo il controllo sui farmaci salvavita attraverso brevetti arbitrari e facendo pressioni politiche contro la produzione di farmaci generici. Con l’arrivo del covid-19, è evidente che questo monopolio costa molte vite umane. Il controllo sulla tecnologia usata per testare la presenza del virus ha intralciato la rapida distribuzione di strumenti diagnostici, così come i 441 brevetti dell’azienda 3M contenenti le parole “respiratore” o “N95” hanno reso più difficile ai nuovi produttori fabbricare le mascherine. Come se non bastasse, nel mondo sono in vigore vari brevetti per tre dei farmaci più promettenti contro il covid-19: remdesivir, favipiravir e lopinavir/ritonavir. Questi brevetti minacciano sia la convenienza economica sia la disponibilità di farmaci contro il virus.

Due scenari
Oggi siamo di fronte alla scelta tra due futuri. Nel primo scenario continueremo come prima, affidandoci alle case farmaceutiche, sperando che una possibile cura contro il covid-19 superi i test clinici, e che emergano nuove tecnologie di rilevazione, diagnostica e protezione. In questo futuro i brevetti daranno ai monopolisti il controllo su buona parte di queste innovazioni. I produttori fisseranno dei prezzi alti, che determineranno quindi un razionamento delle cure. Senza un intervento pubblico, moriranno molte persone, soprattutto nei paesi in via di sviluppo.

Lo stesso problema riguarderà qualsiasi vaccino contro il covid-19. La maggior parte dei vaccini immessi oggi sul mercato è protetta da brevetti. Ad esempio il Pcv13, l’attuale vaccino contro vari ceppi di polmonite somministrato ai bambini, costa centinaia di dollari perché è sottoposto al monopolio della casa farmaceutica Pfizer, a cui frutta cinque miliardi di dollari all’anno. E nonostante la Gavi (un’associazione in cui ci sono, tra gli altri, l’Oms, l’Unicef e la fondazione Gates) copra alcuni dei costi del vaccino nei paesi in via di sviluppo, molte persone non possono permetterselo. Ogni anno in India si registrano più di centomila morti di neonati causate dalla polmonite.

Il secondo futuro possibile prevede l’ammissione che il sistema attuale, in cui i monopoli privati fanno profitti con un sapere prodotto da istituzioni pubbliche, non funziona. Come denunciano da tempo docenti universitari e sostenitori della sanità pubblica, i monopoli uccidono, negando l’accesso a farmaci salvavita che sarebbero invece disponibili in un sistema alternativo, come quello che facilita ogni anno la produzione di vaccini antinfluenzali.

Da anni l’Onu e l’Oms cercano di rafforzare l’accesso alle cure per aids, epatite e tubercolosi, e oggi lo fanno anche per il covid-19. Accordi di condivisione dei brevetti e altre idee simili rientrano in un programma più ampio di riforma del modo in cui vengono sviluppati i farmaci salvavita. L’obiettivo è sostituire un sistema monopolistico con uno fondato sulla condivisione del sapere.

Per troppo tempo abbiamo creduto al mito che il regime attuale di proprietà intellettuale sia necessario. Il successo del Gisrs e di altre applicazioni della “scienza aperta” dimostra che non è così. Mentre aumentano le morti provocate dal covid-19, dovremmo rimettere in discussione l’etica di un sistema che ogni anno, silenziosamente, condanna milioni di esseri umani. Serve un nuovo metodo. Studiosi e politici si sono già fatti avanti con proposte per creare innovazioni farmaceutiche non solo redditizie, ma socialmente utili. Quale momento storico migliore per mettere in pratica queste idee?

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul numero 1356 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati

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