21 novembre 2017 10:06

Sulla scena libica ci sono tanti personaggi venuti fuori dal nulla. Sono diventati eroi nella Libia postbellica, arrivando perfino a occupare importanti cariche pubbliche. Le loro non somigliano a quelle storie di successo che i vostri amici condividono sui social network, con commenti tipo: “Buongiorno meravigliosi amici, potete diventare qualsiasi cosa, dovete solo credere in voi stessi”. Poi raccontano una storia che prosegue più o meno così: era un ragazzino povero, nato in una famiglia povera, per ventun anni ha indossato le stesse scarpe e adesso possiede un impero.

Nella versione libica i protagonisti sono diversi: hanno saltato la parte in cui studiano, lavorano sodo e lottano finché i loro sforzi e i loro talenti non sono riconosciuti. I nostri nuovi leader libici hanno ottenuto soldi e potere durante il caos della guerra civile e li hanno usati per imporsi come personaggi con cui è necessario fare i conti. Uno dei tanti esempi è Abdullah Naker: prima della rivoluzione faceva il tecnico in un negozio di televisori, dopo la rivoluzione si è arricchito, è diventato capo di una milizia e ha perfino fondato un partito politico.

Un uomo venuto dal niente
Un’altra storia, ancora più recente e interessante, con foto condivise ovunque sui social network libici, riguarda un altro uomo apparso dal nulla. Decine di sue immagini scattate in luoghi diversi hanno in comune un tema: il cibo. Mangia in continuazione. Seduto, a letto, in piedi, da solo, con altri, a un tavolo, sul pavimento, nel suo ufficio, nei ristoranti, alle riunioni, mangia sempre come se non ci fosse un domani. C’è solo una foto che si distingue dalle altre, in cui posa con un kalashnikov ed è vestito come un ribelle da manuale. È Hassan Onis, a capo del Comitato direttivo dell’autorità generale per la cultura nel governo di Fayez al Sarraj.

Molti sostengono che prima del 2011 fosse un macellaio, sebbene non ci siano prove concrete a sostegno di questa tesi a parte qualche vecchia foto. Poi però se lo ascoltate e imparate a conoscerlo, tutto questo acquista un suo senso. Parla di rado, perché quando lo fa le sue parole rivelano una profonda ignoranza.

I dipendenti dell’autorità generale per la cultura hanno manifestato disperatamente davanti all’edificio, chiedendogli di dimettersi perché “sta distruggendo la cultura”. Hanno mandato una lettera ufficiale al consiglio presidenziale con la preghiera di salvare il ministero da una “banda di corrotti” guidati da lui, colpevole di “violazioni finanziarie, amministrative ed etiche, e privo di qualsiasi titolo accademico”.

A febbraio di quest’anno è andato a rappresentare la Libia alla Fiera internazionale del libro del Cairo, accompagnato dal suo entourage. Oltre alle guardie del corpo, c’erano qualche poeta e dei vecchi attori. Le stesse facce di sempre, gli stessi membri di un club esclusivo che erano e sono ancora i preferiti dallo stato. Detengono il monopolio di tutti i finanziamenti, ma non sono riusciti a migliorare nulla se non i loro stili di vita. Questo genere di sedicenti artisti e intellettuali sono come i canarini che cantano per chiunque li catturi e dia loro da mangiare.

Ecco una trascrizione fedele del suo discorso alla televisione egiziana in occasione dell’evento:

Questa è la prima volta che la Libia partecipa a una, aaaaaa, fiera internazionale al, aaaaaa, Cairo. Vi diamo il benvenuto, aaaaa, vi ringraziamo, aaaaaa, lo stato del Cairo, per averci ospitati. E la nostra partecipazione a questa, a questa edizione. Naturalmente noi, aaaaa, noi per il libro, abbiamo pubblicato molti libri al ministero della cultura, e ci impegniamo a pubblicare diversi manoscritti per autori e scrittori. In, aaaaa, in Libia. Circa cinquecento manoscritti, cominceranno a uscire a febbraio nei centri culturali in Libia e all’estero.

Quest’anno al Cairo, oltre al Macellaio, c’erano solo due case editrici indipendenti. Lui però non sapeva che questa non era la prima partecipazione della Libia, che in realtà nel 2013 era stata ospite d’onore alla fiera del Cairo, una presenza record, se non altro dal punto di vista quantitativo: più di quaranta case editrici libiche, tra cui venti editori indipendenti, università, centri di ricerca scientifica, istituzioni culturali e biblioteche e più di cinquecento libri pubblicati.

I funzionari dell’autorità generale della cultura hanno lasciato trapelare la notizia che gli organizzatori del Cairo avrebbero confiscato i materiali della sezione libica, che non avrebbe pagato la quota di partecipazione di diecimila dollari. Il presidente del sindacato libico degli editori Ali Owein ha negato la notizia, spiegando che “gli organizzatori della fiera hanno capito che l’autorità non era in grado di trasferire i diecimila dollari a causa delle circostanze straordinarie in cui si trova la Libia”.

Poco dopo, da altri documenti lasciati trapelare dall’amministrazione del Macellaio è emerso che la spesa per questa trasferta è stata di 250mila dinari libici (153mila euro); centomila dinari (61mila euro) avrebbero dovuto coprire tutte le spese della fiera, e 150mila dinari libici (91mila euro) sono andati all’agenzia di viaggio Qimt Alalem per coprire le spese di viaggio sue e del suo entourage.

Pochi mesi più tardi, scrittori ed editori del libro Sun on closed windows sono stati al centro di una vergognosa campagna di odio. Il volume contiene racconti scritti da venticinque giovani autori libici. Questa rabbia era dovuta a pochi paragrafi di uno dei racconti. Lo scrittore descrive un rapporto sessuale, usando parole gergali libiche molto dirette. Dopo la pubblicazione gli autori e gli editori hanno ricevuto minacce di morte. I miliziani hanno arrestato l’organizzatore dell’evento di promozione del libro e hanno chiuso il centro culturale in cui si era tenuto l’evento.

Il ministero della cultura guidato dal Macellaio ha condannato il libro e l’ha bollato come contrario alla “morale pubblica”. Il Macellaio ha anche dichiarato di non sapere niente del controverso libro e dei suoi autori. E ha aggiunto: “Il libro è stato pubblicato fuori della Libia, senza essere soggetto alle regole della censura del paese, ed è stato introdotto illegalmente nel paese”. Non contento, ha ordinato la confisca di tutte le copie.

Il punto è che i passaggi controversi erano tratti dal romanzo Kashan dello stesso scrittore Ahmad al Bokhari, che il ministero della cultura aveva già revisionato, approvato e pubblicato in Libia nel 2012. Kashan ha vinto un premio nazionale, è stato perfino presentato alla Fiera internazionale del libro del Cairo nel 2013, dove era stato invitato anche lo scrittore.

Dopo aver represso e soffocato le voci di giornalisti, fotografi, registi, scrittori e musicisti, questo è l’ultimo chiodo nella bara. È una guerra sistematica contro qualsiasi canarino che osi cantare da solo. Per loro la cultura è una parola terrificante. Negli anni trenta Hanns Johns, presidente della camera di cultura del reich e delle organizzazioni degli scrittori tedeschi, aveva sintetizzato il concetto in questo verso della sua opera Schlageter: “Ogni volta che sento la parola cultura tolgo la sicura alla mia pistola”.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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