27 agosto 2019 13:15

Il 26 agosto, guardando verso Biarritz o verso il Medio Oriente, si potevano avere due visioni differenti della vicenda iraniana: progressi diplomatici da una parte, aumento del rischio militare dall’altra.

A Biarritz, durante il G7, è innegabile che qualcosa si sia mosso sul piano diplomatico grazie all’iniziativa della Francia, al punto tale che ormai possiamo immaginare realisticamente un incontro tra Donald Trump e il presidente iraniano Hassan Rohani. Non ci siamo ancora arrivati, ma uno scenario simile non è più impensabile.

L’escalation diplomatica è una buona notizia, ma basta osservare l’improvviso aumento dei pericoli in Medio Oriente per rendersi conto che sono in azione anche forze che spingono in direzione opposta.

Gli israeliani conducono ormai da tre mesi raid aerei e attacchi con droni armati contro obiettivi iraniani

Nel corso degli ultimi giorni l’esercito israeliano ha colpito diversi obiettivi legati all’Iran in tre paesi arabi: Iraq, Siria e Libano. Non è una notizia trascurabile, soprattutto per quanto riguarda l’Iraq e il Libano, dove operazioni di questo tipo non si verificavano da oltre un decennio.

Gli israeliani conducono ormai da tre mesi raid aerei e attacchi con droni armati contro obiettivi iraniani o legati all’Iran in territorio siriano. Lo scopo è quello di impedire una permanenza duratura delle forze filoiraniane arrivate in Siria in soccorso del regime di Bashar al Assad. Israele ha comunicato di aver sventato un attacco di alcuni droni iraniani sul suo territorio.

La novità è data dall’estensione di queste operazioni in Iraq, dove stazionano forze statunitensi, e in Libano, dove lo stato ebraico ha attaccato Hezbollah nel suo feudo alla periferia di Beirut e un’organizzazione radicale palestinese.

Le reazioni sono particolarmente animate in Libano, dove il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha promesso rappresaglie, mentre il capo di stato Michel Aoun, alleato di Hezbollah, ha definito l’azione israeliana “una dichiarazione di guerra”.

Gli obiettivi di Israele sono diversi. Sul piano militare gli israeliani vogliono soprattutto impedire all’Iran di avvicinarsi alla frontiera. Lo stato ebraico può contare sulla mediazione della Russia (altro alleato di Assad) per smorzare gli ardori di Teheran.

Ma il messaggio è anche politico, come a ricordare al mondo la minaccia iraniana in un momento in cui Israele sembra preoccupata di vedere l’alleato statunitense tentare la via diplomatica. Lunedì la stampa israeliana raccontava un Benyamin Netanyahu stupito davanti alla trattativa tra il suo miglior alleato Donald Trump e l’Iran. Il primo ministro israeliano ha giocato un ruolo fondamentale nella decisione di Washington di cancellare l’accordo sul nucleare e fa affidamento sull’entourage di Trump per scongiurare la possibilità di un nuovo negoziato.

Infine non bisogna dimenticare la politica interna, a poco più di due settimane dalle elezioni in cui Netanyahu, in difficoltà, si gioca tutto.

Chi vincerà tra i sostenitori della diplomazia e i paladini della guerra? Negli Stati Uniti, in Israele e in Iran è in corso un conflitto tra correnti contraddittorie che decideranno tra la guerra e la pace.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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