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Il debito ostacola la lotta dei paesi poveri contro l’epidemia

La messa di Pasqua ad Antananarivo, Madagascar, 12 aprile 2020. (Rijasolo, Afp)

In un momento come questo è molto raro che si raggiunga un consenso internazionale così rapidamente e spazzando via egoismi nazionali e strategie di potere. Il 14 aprile le maggiori economie mondiali, alle prese con la gestione dell’emergenza sanitaria, hanno compiuto un gesto importante in favore dei paesi più poveri, esonerandoli dal rimborso del debito per l’anno in corso. Per i paesi coinvolti si tratta di un risparmio di una ventina di miliardi di dollari, che potranno essere impiegati nella lotta contro il virus.

Inizialmente il provvedimento è stato adottato dalle istituzioni che rappresentano i creditori occidentali, il G7 e il club di Parigi, ma era condizionato al consenso di altri creditori, in particolare a quelli della Cina e dei paesi del G20. Ormai è cosa fatta, e la decisione sarà formalizzata il 15 aprile.

La sospensione, richiesta da diversi giorni dall’Unione africana e dalle società civili del continente, riguarda 76 paesi, quaranta dei quali si trovano nell’Africa subsahariana. In Africa il numero di casi di covid-19 è in aumento e si teme che il continente possa diventare il prossimo centro della pandemia, soprattutto considerando che i suoi sistemi sanitari e finanziari sono evidentemente meno preparati di quelli dell’Europa, comunque travolti dall’emergenza.

Rinunciare al pagamento del debito, per Pechino significa privarsi di uno strumento d’influenza

Ma questo è solo un primo passo. All’interno del discorso pronunciato il 13 aprile da Emmanuel Macron una frase importante è passata inosservata rispetto all’annuncio della fine dell’isolamento, prevista per il prossimo 11 maggio. Il presidente francese ha infatti chiesto un “annullamento massiccio” del debito dei paesi africani, una misura molto più significativa rispetto alla semplice sospensione dei rimborsi. L’obiettivo di Macron è audace, ma non facile da raggiungere.

Diversi paesi, infatti, sono riluttanti all’idea d’impegnarsi ad annullare il debito, a cominciare dalla Cina, grande creditore dell’Africa nel quadro del progetto della nuova “via della seta”. Secondo le stime attuali il continente avrebbe contratto il 40 per cento dei propri debiti con Pechino.

La questione del debito è fondamentale nel rapporto tra la Cina e i suoi partner, al punto tale che di recente si è cominciato a parlare di “trappola del debito”: un paese s’indebita al di là delle sue possibilità (e a condizioni spesso poco chiare) per realizzare un progetto infrastrutturale approvato da Pechino, e se non riesce a restituire il denaro è costretto a cedere la struttura alla Cina. È già accaduto nel caso di un porto in Sri Lanka. In questo senso rinunciare al pagamento del debito, per Pechino significa privarsi di uno strumento d’influenza.

L’altra diplomazia
D’altronde il tema del debito è ormai completamente politicizzato. Emmanuel Macron, che si è presentato come avvocato dei paesi africani nel contesto della pandemia, è accusato, come scrive un dissidente congolese, di aver messo in atto una “diplomazia della cancellazione del debito” in risposta alla “diplomazia delle mascherine” della Cina, e di imporre come condizioni la democratizzazione e la trasparenza.

Resta il fatto che il virus minaccia di portare indietro di dieci o vent’anni le finanze di una parte del continente e soprattutto i segmenti più fragili della popolazione.

Bisogna dunque agire in fretta, come recita l’appello congiunto uscito il 15 aprile sul Financial Times firmato tra gli altri da Angela Merkel, Emmanuel Macron e Giuseppe Conte, dal presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, da quello senegalese Macky Sall e dal primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali. Insieme chiedono cento miliardi per l’Africa, perché “solo una vittoria in Africa può permettere di battere il coronavirus ovunque”.

Per il momento era importante sospendere i rimborsi. In una seconda fase bisognerà preparare il “dopo”, per evitare che i paesi più poveri siano eternamente penalizzati da questo ostacolo ereditato dal mondo di “prima”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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