“The show must go on”, fu la dichiarazione che fece ripartire i giochi olimpici di Monaco, nel 1972, dopo il massacro in cui furono uccisi 11 atleti israeliani. Frase pronunciata dall’allora presidente del comitato olimpico, Avery Brundage, che nelle Olimpiadi del 1936, come capo della delegazione statunitense, aveva ceduto alle pressioni della Germania hitleriana ed escluso dalla partecipazione due atleti statunitensi ebrei.

Due settimane prima dell’apertura dei giochi olimpici di Londra 2012, il settimanale tedesco Der Spiegel ha pubblicato un’inchiesta sul massacro di Monaco, rivelando un chiaro legame tra due giovani neonazisti tedeschi e i terroristi responsabili al massacro, sottolineando anche una serie di clamorosi errori nella gestione tedesca del sequestro.

Non è la prima volta che vengono pubblicati documenti dagli archivi segreti che indicano una stretta collaborazione tra il capo del gruppo terrorista Settembre nero, l’intelligence siriana e la Stasi della Germania dell’Est.

Un’accurata analisi storica delle Olimpiadi del 1936 e di quelle del 1972 è stata proposta di recente nel libro

Munich 1972, di David Clay Large, che indica quello di Monaco come un attentato le cui radici sono nella cultura politica europea degli anni settanta, e indirizzato contro la Germania dell’Ovest se non contro l’intero occidente.

Una teoria provocatoria, che non esclude un aberrante legame con il presente ricordando, come scrive Daniel Johanson sul Wall Street Journal, che “già molto prima dell’11 settembre dal Medio Oriente era partita una dichiarazione di guerra all’occidente”.

In un’intervista al programma televisivo La storia siamo noi di qualche anno fa, Abu Daud, l’allora capo del gruppo terroristico Settembre nero ha dichiarato che, potendo, avrebbe ripetuto le stesse gesta, con una differenza : “Lo farei meglio, e in qualsiasi parte del mondo”.

Il “mondo” a cui fa riferimento è elencato in una lista di venti paesi, stilata dal Mossad israeliano, in cui negli ultimi due anni altre organizzazioni terroristiche aiutate dall’Iran/Hezbollah hanno progettato attentati contro obiettivi israeliani.

La decisione di non interrompere i giochi, all’epoca, fu interpretata da alcuni come un segno di forza per non essersi piegati di fronte al terrorismo, mentre altri sostennero che il mondo non seppe cogliere il significato di quello che era successo.

Se quarant’anni fa si fosse avviato un processo di riflessione, si sarebbe creato quel tessuto etico-culturale che avrebbe evitato qualsiasi polemica sulla richiesta di un minuto di silenzio per ricordare il massacro. Il mondo lo avrebbe fatto da sé.

I giochi olimpici dovrebbero andare oltre ai conflitti politici, non dovrebbero rappresentare spazi e palchi per conflitti di ogni genere. Ma il comitato olimpico che non ha permesso agli atleti israeliani di marciare con il lutto al braccio nel 1976 e nei successivi quarant’anni, non ha mai escluso la partecipazione di chi, come l’Iran, ha impedito ai propri atleti di competere contro atleti israeliani.

Il rifiuto di rispettare un minuto di silenzio per la commemorazione di un evento accaduto in questa cornice, è indice di un gioco per niente sportivo.

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