José Antonio Kast, vincitore delle elezioni presidenziali in Cile, ricorda per certi versi lo statunitense Donald Trump e l’argentino Javier Milei. Sull’immigrazione e la sicurezza, i suoi due temi favoriti, il candidato dell’estrema destra è infatti in sintonia con i discorsi più estremisti di questi due presidenti che incarnano la svolta a destra del continente americano.
Ma è soprattutto per la storia cilena che la personalità di Kast è significativa. Cinquantun anni dopo il colpo di stato militare del generale Augusto Pinochet contro Salvador Allende, il Cile ha eletto un nostalgico della dittatura. In occasione della sua prima campagna elettorale, nel 2017, Kast aveva addirittura dichiarato che se Pinochet fosse stato ancora vivo avrebbe votato per lui.
L’elezione di Kast segna una frattura: sarà il primo presidente cileno ad aver votato nel 1988 per il prolungamento del mandato di Pinochet, in occasione del famoso referendum che mise fine alla dittatura. Fino a oggi tutti i presidenti del paese, sia di destra che di sinistra, avevano partecipato alla campagna epica del “no”, raccontata dal film No – I giorni dell’arcobaleno di Pablo Larrain.
Negli ultimi anni il Cile ha vissuto una storia politica movimentata. Nel 2019 una profonda e violenta crisi sociale ha portato al potere un’alleanza di partiti di sinistra guidati dall’ex leader studentesco Gabriel Boric, la cui vittoria, cominciata nell’entusiasmo, ha progressivamente lasciato il posto all’immobilità.
Un tentativo di riforma della costituzione cilena ereditata da Pinochet si è rivelato fallimentare perché l’assemblea costituente ha presentato un testo troppo complicato e utopico. La sinistra non si è più ripresa da quella batosta e soprattutto non ha saputo fornire un risposta ai due temi che hanno dominato la campagna elettorale, l’immigrazione e l’insicurezza crescente.
La candidata della sinistra unita, Jeannette Jara, proveniente dal partito comunista, era stata la più votata al primo turno, ma non aveva un’ulteriore riserva di voti. L’etichetta comunista fa ancora paura in Cile, e Jara non aveva alcuna possibilità di vincere nonostante i suoi ripetuti appelli al candidato populista arrivato terzo, Franco Parisi.
Le promesse
José Antonio Kast promette di usare il pugno di ferro sull’immigrazione e la sicurezza. Disinibito dal comportamento di Trump e Milei, ha promesso di inviare l’esercito alle frontiere contro i migranti, di espellere in massa i venezuelani e i colombiani senza documenti in regola e di realizzare nuove carceri ispirandosi al Salvador di Nayib Bukele.
Il fatto che queste promesse permettano di vincere le elezioni in tutto il mondo – a nord e a sud, in America come in Europa – la dice lunga sulla nostra epoca. Innanzitutto è la sconfitta di chi non ha saputo rispondere a quelle sfide rimanendo nei confini dello stato di diritto. Kast s’ispira al concetto paradossale di “democrazia protetta” immaginato da Jaime Guzmán, l’ideologo dell’epoca di Pinochet.
Kast è anche un ultraconservatore, padre di nove figli e ostile ai diritti delle donne, ma durante la campagna elettorale ha abilmente ignorato questi temi. Figlio di un immigrato tedesco che aveva fatto parte del partito nazista, Kast si considera prima di tutto un uomo d’ordine, ed è questo che gli ha permesso di vincere. Una lezione per il Cile ma anche, senza dubbio, per tutta la comunità internazionale.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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