Piano piano, quasi di nascosto, lontano dai tagli, dai proclami politici, dallo “scuolacidio” e dalle (giustificate) polemiche sulle manutenzione e le condizioni delle scuole, qualcosa di positivo sta succedendo.

Squadre di muratori composte anche da genitori si rimboccano le maniche e scendono in piazza - o meglio in cortile - per aiutare a trasformare la scuola dei propri figli in un posto migliore in cui dovrebbe essere sempre più piacevole e sensato trascorre il tempo.

“Aiuta Luca ad alzarsi dalla panchina” è

un bellissimo video che presenta un progetto per “cambiare la scuola con un click”. È realizzato da un gruppo di giovani imprenditori italiani che hanno fondato School raising, una start up sociale che mette in contatto cittadini e aziende con il mondo della scuola, per promuoverne l’innovazione.

E non sono i soli. A gennaio su Sky Tg24 è partito un interessante progetto che mette a disposizione di venti scuole superiori romane degli strumenti e un team di giornalisti pronti a insegnare ai reporter di domani come scrivere le notizie, fare un servizio o presentare un telegiornale, trasformando le classi in una vera redazione e portando gli studenti agli studi televisivi di Sky.

A Bologna, Leroy Merlin mette a disposizioni personale e materiali per fare bricolage arredando e sistemando le scuole. Poi ci sono dei grandi colossi dell’informatica che, a fronte dei scarsi fondi pubblici, offrono un contributo concreto per rendere la scuola un luogo più innovativo e digitalizzato, perché l’istruzione si fa ovunque, non solo in classe, e gli strumenti sono infiniti.

L’ingerenza del privato nel pubblico sembra essere gradita, visto il recente appello pubblico lanciato dall’associazione dei presidi per sollecitare nuovi capitali per la manutenzione degli edifici scolastici.

Non è un fenomeno italiano, è molto conosciuto da tempo anche nel Regno Unito e negli Stati Uniti, per esempio con 2U, lo stesso concept che vorrebbe risolvere i problemi dell’istruzione americana. Ma se il presidente Obama invita gli studenti a impegnarsi a creare i propri videogiochi invece di comprarli, a disegnare le app invece di scaricarle, a non desiderare semplicemente l’ultimo modello dell’iPhone ma di realizzarlo mediante lo studio applicato delle materie scientifiche, in Italia il ministro dell’istruzione e della ricerca scientifica sostiene che “la tecnologia digitale non è una disciplina ma uno strumento di cui la didattica si deve avvalere”.

Tornano in mente le parole di Kennedy che asseriva “non chiedete cosa il paese può fare per voi ma piuttosto cosa potete fare voi per il paese”. In Italia non lo dice nessuno, ma per fortuna qualcuno comunque lo fa. Nel vuoto più assoluto.

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