02 maggio 2020 09:16

È tempo di dare ai giovani un po’ di respiro. Quelli che hanno finito di studiare e sono entrati nel mercato del lavoro dopo la crisi finanziaria del 2008 hanno avuto vita difficile. La “generazione della crisi”, come l’ha definita il centro studi britannico Resolution foundation, ha dovuto fare i conti con salari molto più bassi di quelli che aveva la precedente, meno opportunità di carriera e un lavoro meno sicuro. Ora la pandemia di covid-19 sta creando una “generazione della mega-crisi” che presto subirà le stesse conseguenze, perfino peggiori. Se lo stato, le aziende e la società non agiranno collettivamente, all’ingiustizia si aggiungerà altra ingiustizia.

Nei giorni scorsi è diventato chiaro quanto saranno profonde le conseguenze della situazione attuale. L’Ufficio britannico per la responsabilità di bilancio ha previsto che nei prossimi tre mesi il pil del Regno Unito calerà del 35 per cento, e i disoccupati aumenteranno di due milioni. Nonostante questo, secondo l’istituto un piano d’uscita dalla crisi permetterebbe una rapida ripresa economica. Senza vaccini e la capacità di fare test di massa, non c’è la prospettiva di un recupero in tempi brevi, ma solo di un alleggerimento graduale del distanziamento sociale. E l’uscita dall’Unione europea non farà che peggiorare le cose.

Le prime statistiche mostrano già che, ancora una volta, saranno i giovani i più penalizzati. Quelli che hanno meno di trent’anni rischiano di lavorare meno ore e di restare disoccupati: hanno impieghi meno sicuri e meno qualificati. E anche il lavoro meno specializzato, in passato più disponibile, si sta riducendo.

Tutti i piani di ripresa dovranno essere organizzati in modo che non ci sia alcuno svantaggio per chi ha meno di 35 anni

Non siamo riusciti a costruire un’economia con radici solide. Negli ultimi quarant’anni è prevalso un mondo di soluzioni di comodo, di finanza creativa, soldi facili e stipendi incredibilmente alti ai vertici della piramide economica. Il mercato immobiliare ha rappresentato una quota, assolutamente insostenibile, del pil britannico: il 14 per cento. Questo mercato si sta disfacendo nel giro di poche settimane e saranno i nostri figli a pagarne le conseguenze.

I primi a essere colpiti saranno quelli che avrebbero dovuto sostenere degli esami quest’estate, e che riceveranno diplomi di scuola superiore, di maturità e di altro tipo senza farli. La preoccupazione, per tutti loro, è che i diplomi ricevuti nel 2020 saranno considerati di minor valore rispetto a quelli ottenuti nel 2021 o nel 2022. Non solo. I giovani hanno una vita sociale attiva. Vanno a ballare, ai concerti, condividono appartamenti. Il mondo del distanziamento sociale che ci aspetta renderà tutte queste attività più difficili. Non sorprende che siano ragazzi e ragazze ad avere più difficoltà psicologiche in questo momento. Ma in base alla mia esperienza i millennial e la generazione Z hanno basi morali solide, forse più di chi è vecchio e disilluso. Vogliono fare la cosa giusta. Non è un impulso passeggero a motivare la loro passione nei confronti del cambiamento climatico, del mangiare meno carne, del trattarsi a vicenda con rispetto e del cercare un rapporto solido con i genitori. Quello che colpisce in questa crisi è la volontà con cui i giovani, per cui il virus è meno letale, combattono fianco a fianco con i più anziani. La società ha un debito con loro.

Tutti i piani di ripresa dovranno essere organizzati in modo che non ci sia alcuno svantaggio per chi ha meno di 35 anni. Bisogna limitare il danno imposto all’istruzione dei nostri figli. Scuole elementari e asili devono essere i primi a riaprire, seguiti dalle superiori e dall’università. Il programma di prestiti agli studenti deve essere ripensato. Oltre a questo, abbiamo un triplo dovere: costruire un’economia che non sfrutti i giovani, adottare misure che proteggano tanto loro quanto gli anziani e usare la pandemia come un impulso per reinventare la società.

Oggi i nostri giovani hanno un onere eccessivo: nel pagare tasse, nell’entrare nel mercato immobiliare per la prima volta, nell’essere i primi a venire considerati degli esuberi. Il programma di tutela dei posti di lavoro non dev’essere smantellato dopo il lockdown: semmai dovrebbe trasformarsi in una variante del programma tedesco di “lavoro breve”, che offre sussidi per le ore di lavoro perdute, rivolta a chi è entrato nel mercato del lavoro dopo il 2008 e a chi ha figli. Quando i giovani vedranno il valore dei loro immobili calare, il governo e le banche dovranno offrire garanzie ipotecarie.

Ma soprattutto dobbiamo costruire un’economia stimolante. Dobbiamo offrire ai giovani la speranza di poter credere nel futuro. La nuova normalità non dev’essere un ritorno alle vecchie disuguaglianze. La mia generazione avrebbe potuto lasciare un’eredità migliore. Se questo virus diventerà il catalizzatore di un cambiamento, almeno avrà offerto un bagliore di speranza in questi tempi così oscuri.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul numero 1355 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati

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