13 maggio 2013 14:09

C’è un’abitudine, o un vizio, tipico degli intellettuali della sinistra cosiddetta radicale. Consiste nel cercare di individuare quale sia il settore della società destinato a incarnare il nuovo “soggetto rivoluzionario”. Ci si aspetta che sorga, come un esercito di terracotta, e che ristabilisca il giusto corso della storia, quello che va verso eguaglianza, dignità, libertà dal bisogno, e che si comporti, per di più, coerentemente a quanto teorizzato.

Noi non abbiamo a disposizione chiavi di questo tipo per interpretare la realtà. Quello che qui cerchiamo di fare è di dare rilievo, sottolineare momenti di riflessione e azione collettiva che rompono lo strano effetto prospettico per cui la situazione sociale viene descritta come potenzialmente esplosiva ma contemporaneamente cristallizzata, ferma, immobile. Il che è impossibile, non fosse altro perché la crisi in cui versa il paese non è uno stato, una condizione, ma una dinamica, ovvero una costellazione di dinamiche in rapida ricomposizione e riconfigurazione. In questo quadro, la lotta dei lavoratori del settore logistico, che è giunta sulle cronache nazionali in occasione dello sciopero nazionale indetto da Adl Cobas e Si Cobas il 22 marzo scorso, presenta notevoli elementi di interesse.

È una lotta organizzata dal basso, con modalità di convocazione e rappresentanza nuove, portata avanti da lavoratori in larghissima parte immigrati, che tocca le vene e le arterie della circolazione delle merci in questo paese. La questione è nodale tanto per le caratteristiche del settore – la movimentazione delle merci non conosce una crisi paragonabile a quella di altri settori produttivi – quanto per la composizione dei lavoratori in lotta, per il 90 per cento stranieri.

Lo sciopero è stato proclamato dalle assemblee che si sono svolte il 3 marzo 2013 a Milano, Piacenza, Bologna, Genova, Torino, Roma, Padova, Verona, Treviso, collegate tra loro attraverso una web conference.

Il contratto nazionale per questo settore è scaduto nel dicembre 2012, ed era stato rinnovato l’ultima volta nel 2010. I lavoratori in lotta accusano i sindacati confederali di trattare con il padronato in maniera poco trasparente, senza un’adeguata informazione e senza un reale coinvolgimento dei lavoratori stessi, che in questo modo si sentono tenuti all’oscuro, “per poi essere sottoposti ad ulteriori sacrifici e mortificazioni”.

Sulle pagine dei quotidiani, la cronaca: “Caos dei trasporti in Nord Italia,” le cariche della polizia all’interporto di Bologna, i comunicati degli uni e degli altri, un lavoratore che sarebbe stato travolto e ferito da un tir in uscita. In termini di partecipazione, lo sciopero è stato un successo. In certi casi, come quello della Dhl di Carpiano, l’adesione è stata totale.

La forma di ricatto padronale a cui questi lavoratori sono costretti è particolarmente dura. La retorica dei sacrifici che accompagna la crisi, che è pervasiva, e che viene brandita come un’arma da chi può impugnarla, viene utilizzata per imporre turni lunghissimi, straordinari obbligati e non pagati, decurtazioni arbitrarie di stipendi già assai magri. Un lavoro logorante, spesso privo dei diritti elementari, retribuzioni che costringono a un’esistenza in apnea, alla mera sopravvivenza, all’assenza di ogni prospettiva. Le condizioni in cui versano questi lavoratori sintetizzano ed esemplificano una condizione generale che accomuna le vite e le sorti delle classi più deboli. Ecco perché la loro lotta riguarda tutti noi: perché la sofferenza sociale è la questione centrale da affrontare se si hanno ancora a cuore le sorti collettive. I lavoratori del settore logistico hanno saputo superare divisioni etniche e frammentazioni e hanno aperto così una partita cruciale, sottolineando ancora una volta che la divisione reale che taglia la società non ha a che fare con etnie o culture ma è la dialettica tra sfruttati e sfruttatori, tra poveri e ricchi.

Per il 15 maggio è stata indetta una nuova giornata di lotta. Nel comunicato di sabato 11 maggio, l’attenzione viene portata sulla necessità di vedere applicate “le medesime condizioni contrattuali indipendentemente dalla committenza di riferimento e dalla cooperativa/società di appartenenza”.

I lavoratori in lotta hanno bisogno di solidarietà e di attenzione. Stanno indicando una strada, consapevoli che i diritti sono il risultato di rapporti di forza, e che per difenderli o ottenerli bisogna rendersi forti. Dobbiamo augurarci che altre esperienze simili trovino voce e gambe, se vogliamo credere che sia ancora possibile risollevarsi dal pantano in cui al momento affonda ogni prospettiva di riscatto sociale.

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