19 marzo 2021 13:24

Come riassumere l’anno del covid-19 da una prospettiva storica più ampia? Molti credono che il terribile tributo imposto dal nuovo coronavirus sia la prova dell’impotenza dell’umanità di fronte alla forza della natura. In realtà, il 2020 ha dimostrato che l’umanità è tutt’altro che impotente. Le epidemie non sono più forze naturali incontrollabili. La scienza le ha trasformate in sfide gestibili. Perché, allora, ci sono stati tanti morti e tanta sofferenza? La colpa è di decisioni politiche sbagliate.

In passato, quando gli esseri umani affrontavano flagelli come la peste nera, non avevano idea di quale fosse la causa né di come si potessero fermare. Quando arrivò l’influenza del 1918, i migliori scienziati del mondo non furono in grado di identificare il virus mortale, molte delle contromisure adottate furono inutili e i tentativi di sviluppare un vaccino efficace si dimostrarono vani. Con il covid-19 le cose sono andate molto diversamente. I primi campanelli d’allarme su una possibile nuova epidemia hanno cominciato a suonare alla fine di dicembre del 2019. Il 10 gennaio 2020 gli scienziati non solo avevano isolato il virus responsabile, ma ne avevano anche sequenziato il genoma e pubblicato le informazioni online. Nel giro di pochi mesi è diventato chiaro quali misure potevano rallentare e fermare il contagio. In meno di un anno sono stati prodotti in massa diversi vaccini efficaci. Nella guerra tra gli esseri umani e i virus, i primi non sono mai stati così potenti.

Oltre ai risultati senza precedenti della biotecnologia, l’anno del covid ha anche messo in evidenza il potere della tecnologia dell’informazione. In epoche precedenti l’umanità raramente aveva potuto fermare le epidemie, perché gli esseri umani non potevano monitorare le catene dell’infezione in tempo reale e perché fermare le attività in modo prolungato aveva un costo economico proibitivo. Nel 1918 si potevano mettere in quarantena le persone colpite dall’influenza, ma non si potevano tracciare i movimenti dei soggetti presintomatici o asintomatici. E se qualcuno avesse ordinato all’intera popolazione di un paese di rimanere a casa per settimane, avrebbe provocato la rovina economica, il crollo della società e la fame di massa. Al contrario, nel 2020 la sorveglianza digitale ha reso molto più facile monitorare e individuare i vettori della malattia, e questo ha reso possibile una quarantena più selettiva e più efficace. Ma soprattutto, l’automazione e internet hanno reso praticabili i lockdown prolungati, almeno nei paesi ricchi. Mentre in alcune parti del mondo in via di sviluppo è ancora vivo il ricordo delle piaghe del passato, in gran parte dei paesi ad alto reddito la rivoluzione digitale ha cambiato tutto.

Prendete l’agricoltura. Per millenni la produzione alimentare si è basata sul lavoro umano e circa il 90 per cento delle persone lavorava nell’agricoltura. Oggi nei paesi ricchi non è più così. Negli Stati Uniti, solo l’1,5 per cento della popolazione lavora nelle aziende agricole, e questo è sufficiente non solo a sfamare tutti, ma anche a rendere il paese uno dei principali esportatori di prodotti alimentari. Quasi tutto il lavoro agricolo è svolto da macchine. I lockdown hanno quindi conseguenze limitate sull’agricoltura.

Un gatto in tribunale
Immaginate un campo di grano ai tempi della peste nera. Se avessero detto ai braccianti di restare a casa al momento del raccolto, la popolazione sarebbe morta di fame. Se gli avessero detto di andare a raccoglierlo si sarebbero contagiati a vicenda. Che fare? Ora immaginate lo stesso campo di grano nel 2020. Un’unica mietitrebbia guidata attraverso un sistema gps può mietere un intero campo con un’efficienza di gran lunga maggiore e con zero possibilità di infezione. Mentre nel 1349 un bracciante agricolo medio raccoglieva circa cinque staia al giorno, nel 2014 una mietitrebbia ha stabilito un record raccogliendone 30mila al giorno. Di conseguenza, il covid-19 non ha avuto effetti significativi sulla produzione globale di colture di base come il grano, il mais e il riso.

Ma per sfamare le persone non basta raccogliere il grano. Bisogna anche trasportarlo, a volte per migliaia di chilometri. Per la maggior parte dei secoli, il commercio è stato uno dei principali “cattivi” nella storia delle pandemie. Gli agenti patogeni letali si spostavano in tutto il mondo sulle navi mercantili e le carovane a lunga percorrenza. Per esempio, la peste nera del trecento ottenne un passaggio dall’Asia orientale al Medio Oriente lungo la via della seta, e furono le navi mercantili genovesi a portarla poi in Europa. Il commercio rappresentava una minaccia così mortale perché ogni carro aveva bisogno di qualcuno che lo guidasse, servivano decine di marinai per governare anche piccole imbarcazioni e le navi e le locande affollate erano focolai di malattie.

I fattorini sono stati il filo rosso che ha tenuto insieme la civiltà

Nel 2020 il commercio globale ha potuto continuare a funzionare più o meno agevolmente perché coinvolgeva pochissimi esseri umani. Oggi una nave portacontainer in gran parte automatizzata può trasportare più tonnellate della flotta mercantile di un intero regno dell’inizio dell’era moderna. Nel 1582 la flotta mercantile inglese aveva una capacità di carico totale di 68mila tonnellate e aveva bisogno di circa 16mila marinai. La nave portacontainer della Orient overseas container line di Hong Kong, varata nel 2017, può trasportare circa 200mila tonnellate con un equipaggio di appena 22 persone.

È vero, le navi da crociera con centinaia di turisti e gli aerei pieni di passeggeri hanno avuto un ruolo importante nella diffusione del covid-19. Ma il turismo e i viaggi non sono essenziali per il commercio. I turisti possono rimanere a casa e gli uomini d’affari possono usare Zoom, mentre navi fantasma automatizzate e treni quasi privi di esseri umani mantengono in moto l’economia globale. Nel 2020, mentre il turismo internazionale crollava, il volume del commercio marittimo globale è calato solo del 4 per cento.

L’automazione e la digitalizzazione hanno avuto un impatto ancora maggiore sui servizi. Nel 1918 era impensabile che uffici, scuole, tribunali e chiese potessero continuare a funzionare durante un lockdown. Se studenti e insegnanti restavano a casa, come si poteva fare lezione? Oggi conosciamo la risposta. Il passaggio alla modalità online ha molti inconvenienti, non ultimo l’immenso costo psicologico. Ha anche creato problemi prima inimmaginabili, come nel caso dell’avvocato la cui immagine è stata sostituita per errore da quella di un gatto durante un collegamento con il tribunale. Ma il fatto che sia possibile è comunque sbalorditivo.

Nel 1918 l’umanità abitava solo il mondo fisico e quando il virus dell’influenza mortale invase quel mondo, non ci si poteva rifugiare in nessun posto. Oggi molti di noi abitano due mondi: quello fisico e quello virtuale. Quando il coronavirus è circolato nel mondo fisico, molte persone hanno spostato gran parte della loro vita in quello virtuale, dove il virus non poteva seguirle. Ovviamente gli esseri umani sono ancora esseri fisici e non tutto può essere digitalizzato. L’anno del covid ha evidenziato il ruolo cruciale che molti lavori pagati poco svolgono nel mantenimento della civiltà umana: infermieri, operatori sanitari, camionisti, cassieri, addetti alle consegne. Si dice spesso che ogni civiltà è a tre pasti dalla barbarie. Nel 2020 i fattorini sono stati il filo rosso che ha tenuto insieme la civiltà. Sono diventati la nostra importantissima linea di comunicazione con il mondo fisico.

Un’operatrice sanitaria si riposa prima di una sepoltura a New Delhi, India, 7 agosto 2020. (Adnan Abidi, Reuters/Contrasto)

Mentre l’umanità si automatizza, si digitalizza e sposta le sue attività online, emergono nuovi pericoli. Una delle cose più notevoli dell’anno del covid-19 è stata che internet ha retto. Se aumentiamo improvvisamente la quantità di traffico che passa su un ponte, possiamo aspettarci ingorghi e forse anche il crollo del ponte. Nel 2020 scuole, uffici e chiese si sono spostati online quasi dall’oggi al domani, e il web ha resistito. Difficilmente ci soffermiamo a pensarci, ma dovremmo farlo. Dopo il 2020 sappiamo che la vita può andare avanti anche quando un intero paese è fisicamente bloccato. Provate a immaginare cosa succederebbe se la nostra infrastruttura digitale si arrestasse in modo anomalo.

La tecnologia dell’informazione ci ha reso più capaci di reagire di fronte ai virus, ma anche molto più vulnerabili alle minacce e alle guerre informatiche. Molti si chiedono quale sarà il prossimo covid. Un attacco alla nostra infrastruttura digitale è uno dei candidati principali. Ci sono voluti mesi prima che il coronavirus si diffondesse nel mondo e infettasse milioni di persone. La nostra infrastruttura digitale potrebbe crollare in un solo giorno. E mentre le scuole e gli uffici potrebbero spostarsi rapidamente online, quanto tempo ci vorrebbe per tornare dalle email alla posta ordinaria?

L’anno del covid ha messo in luce un limite ancora più importante del nostro potere scientifico e tecnologico. La scienza non può sostituire la politica. Quando è il momento di decidere quali misure adottare, bisogna tenere conto di molti interessi e valori e, poiché non esiste un metodo scientifico per determinare quali interessi e valori sono più importanti, non esiste un metodo scientifico per decidere cosa fare. Per esempio, quando si deve decidere se imporre un lockdown, non è sufficiente chiedersi: “Quante persone si ammaleranno di covid-19 se non lo facciamo?”. Ma bisogna anche chiedersi: “Quante persone cadranno in depressione se imponiamo un blocco? Quante persone soffriranno a causa della denutrizione? Quante perderanno la scuola o il lavoro? Quante saranno maltrattate o uccise dai loro conviventi?”. Anche se tutti i nostri dati sono accurati e affidabili, dovremmo sempre chiederci: “Cosa conta di più? Chi lo decide? Come confrontiamo le cifre?”. Questo è compito dei politici più che degli scienziati. Sono loro che devono bilanciare le considerazioni sanitarie, economiche e sociali per elaborare una politica complessiva.

Nel frattempo i tecnici stanno creando nuove piattaforme digitali che ci aiutano a funzionare in caso di lockdown e nuovi strumenti di sorveglianza che ci aiutano a spezzare le catene del contagio. Ma la digitalizzazione e la sorveglianza mettono a rischio la nostra privacy e aprono la strada all’emergere di regimi totalitari senza precedenti. Nel 2020 la sorveglianza di massa è diventata non solo più legittima ma anche più comune. Combattere l’epidemia è importante, ma vale la pena rinunciare alla nostra libertà per farlo? È compito dei politici più che dei tecnici trovare il giusto equilibrio tra sorveglianza utile e incubi distopici.

Evitare la dittatura digitale
Tre regole di base possono fare molto per proteggerci dalle dittature digitali, anche in tempi di pandemia. In primo luogo, ogni volta che si raccolgono dati sulle persone, specialmente sul loro stato di salute, questi dati dovrebbero essere usati per aiutarle, non per manipolarle, controllarle o danneggiarle. Il mio medico sa molte cose estremamente intime su di me. Questo non mi preoccupa, perché confido nel fatto che usi queste informazioni a mio vantaggio e non le venda a nessuna azienda privata o partito politico. Dovrebbe essere lo stesso per qualsiasi tipo di “autorità di sorveglianza pandemica” che decidessimo di istituire.

In secondo luogo, la sorveglianza deve sempre andare in entrambe le direzioni. Se va solo dall’alto verso il basso, può portare alla dittatura. Quindi, ogni volta che aumenta la sorveglianza sugli individui, dovrebbe aumentare anche quella sui governi e sulle grandi aziende. Per esempio, oggi i governi stanno distribuendo enormi quantità di denaro. L’assegnazione dei fondi dovrebbe essere più trasparente. Come cittadino, vorrei poter sapere chi li ottiene e chi ha deciso dove andranno quei soldi. Voglio assicurarmi che vadano alle aziende che ne hanno davvero bisogno invece che a una multinazionale di proprietà di amici di un ministro. Se il governo dice che è troppo complicato creare un simile sistema di monitoraggio nel mezzo di una pandemia, non credeteci. Se si può monitorare quello che facciamo noi, non sarà troppo complicato controllare quello che fa il governo.

Terzo, non bisognerebbe permettere mai che troppi dati siano concentrati in un unico posto. Né durante l’epidemia né quando sarà finita. Il monopolio dei dati può aprire la strada a una dittatura. Quindi, se si raccolgono dati biometrici sulle persone per fermare la pandemia, a farlo dovrebbe essere un’autorità sanitaria indipendente, non la polizia. E i dati raccolti dovrebbero essere tenuti separati da altri database dei ministeri e delle multinazionali. Certo, questo può creare ridondanze e inefficienze. Vogliamo prevenire l’ascesa della dittatura digitale? Manteniamo le cose almeno un po’ inefficienti.

Il “nazionalismo vaccinale” sta creando un nuovo tipo di disuguaglianza

I successi scientifici e tecnologici senza precedenti del 2020 non hanno risolto la crisi del covid-19. Hanno trasformato la pandemia da calamità naturale in dilemma politico. Quando la peste nera uccise milioni di persone, nessuno si aspettava molto dai re e dagli imperatori. Circa un terzo degli inglesi morì durante la prima ondata di quel flagello, ma questo non fece perdere il trono a re Edoardo III d’Inghilterra. Era chiaramente al di là del potere dei governanti fermare l’epidemia, quindi nessuno li accusava di aver fallito.

Ma oggi l’umanità ha gli strumenti scientifici per fermare il covid-19. Diversi paesi, dal Vietnam all’Australia, hanno dimostrato che anche senza un vaccino i mezzi già disponibili possono fermare l’epidemia. Questi strumenti, tuttavia, hanno un prezzo economico e sociale elevato. Possiamo sconfiggere il virus, ma non siamo sicuri di essere disposti a pagare il prezzo di questa vittoria. Ecco perché i risultati scientifici hanno posto un’enorme responsabilità sulle spalle dei politici. Purtroppo, troppi di loro non sono stati all’altezza di questa responsabilità. Per esempio, i presidenti populisti di Stati Uniti e Brasile hanno minimizzato il pericolo, si sono rifiutati di ascoltare gli esperti e hanno permesso che si diffondessero teorie del complotto. Non hanno escogitato un solido piano d’azione nazionale e hanno sabotato i tentativi delle autorità statali e municipali di fermare la diffusione del contagio. La negligenza e l’irresponsabilità dei governi Trump e Bolsonaro hanno provocato centinaia di migliaia di morti che si potevano evitare.

Nel Regno Unito il governo sembrava inizialmente più preoccupato per la Brexit che per il covid-19. Nonostante tutte le politiche isolazioniste, l’amministrazione Johnson non è riuscita a isolare il paese dall’unica cosa che contava davvero: il virus. Anche il mio paese d’origine, Israele, ha sofferto di una cattiva gestione politica. Come nel caso di Taiwan, Nuova Zelanda e Cipro, Israele è in effetti un “paese insulare”, con confini chiusi e un solo cancello d’ingresso principale: l’aeroporto Ben Gurion. Tuttavia, al culmine della pandemia, il governo Netanyahu ha permesso che i viaggiatori in arrivo lasciassero l’aeroporto senza chiedergli di osservare una quarantena o addirittura senza controlli adeguati, e non si è preoccupato di far rispettare il lockdown.

Un ristorante a Galway, Irlanda, 20 ottobre 2020. (Clodagh Kilcoyne, Reuters/Contrasto)

Oggi sia Israele sia il Regno Unito sono stati in prima linea nelle campagne vaccinali, ma quegli errori di valutazione iniziali gli sono costati cari. Nel Regno Unito la pandemia ha ucciso 120mila persone. Israele è al settimo posto nel mondo per tasso medio di casi confermati e, per contrastare il disastro, ha stretto un accordo sui “vaccini in cambio di dati” con l’azienda statunitense Pfizer. La Pfizer ha accettato di fornire a Israele vaccini sufficienti per l’intera popolazione in cambio di enormi quantità di informazioni importanti, sollevando preoccupazioni sulla privacy e sul monopolio dei dati e dimostrando che questi sono ormai una delle risorse più preziose in mano agli stati.

Anche se alcuni paesi si sono comportati molto bene, finora l’umanità non è riuscita a contenere la pandemia o a escogitare un piano globale per sconfiggere il virus. Nei primi mesi del 2020 è stato come guardare un incidente al rallentatore. La comunicazione ha permesso a tutti di vedere in tempo reale le immagini prima da Wuhan, poi dall’Italia, poi da molti paesi, ma non è emersa nessuna leadership globale in grado di impedire alla catastrofe di travolgere il mondo. Gli strumenti c’erano, ma troppo spesso è mancata la saggezza politica.

Una delle ragioni del divario tra il successo scientifico e il fallimento politico è che gli scienziati hanno collaborato a livello globale, mentre i politici tendevano a litigare. Lavorando in condizioni di forte stress e incertezza, gli scienziati di tutto il mondo hanno condiviso liberamente le informazioni e si sono affidati ai risultati e alle intuizioni gli uni degli altri. Molti importanti progetti di ricerca sono stati condotti da squadre internazionali. Per esempio, uno studio chiave che ha dimostrato l’efficacia delle misure di contenimento è stato condotto da ricercatori di nove istituzioni: una nel Regno Unito, tre in Cina e cinque negli Stati Uniti.

Al contrario, i politici non sono riusciti a formare un’alleanza internazionale contro il virus e ad accordarsi su un piano globale. Le due principali superpotenze, Stati Uniti e Cina, si sono accusate a vicenda di non svelare informazioni vitali, di diffondere disinformazione e teorie del complotto e perfino di trasmettere deliberatamente il virus. Molti altri paesi hanno falsificato o nascosto i dati sull’andamento della pandemia. La mancanza di cooperazione internazionale si manifesta non solo in queste guerre di propaganda, ma ancora di più nei conflitti per le scarse attrezzature mediche. Anche se ci sono stati molti casi di collaborazione e generosità, non è stato fatto alcun serio tentativo di mettere in comune tutte le risorse disponibili, snellire la produzione globale e garantire un’equa distribuzione delle forniture. In particolare, il “nazionalismo vaccinale” sta creando una disuguaglianza tra i paesi in grado di vaccinare la loro popolazione e quelli che non possono farlo.

Cooperazione globale
È triste vedere che molti non riescono a capire un semplice fatto: finché il virus continuerà a diffondersi, nessun paese potrà sentirsi veramente al sicuro. Supponiamo che Israele o il Regno Unito riescano a sradicarlo entro i propri confini, ma che il virus continui a diffondersi tra centinaia di milioni di persone in India, Brasile o Sudafrica. Una nuova mutazione in qualche remota città brasiliana potrebbe rendere il vaccino inefficace e provocare una nuova ondata di contagi. Nell’emergenza in corso gli appelli al mero altruismo probabilmente non prevarranno sugli interessi nazionali. Ma la cooperazione globale non è altruismo. È essenziale per garantire l’interesse nazionale.

Le discussioni su quello che è accaduto nel 2020 andranno avanti per anni. Ma le persone di tutti gli schieramenti politici dovrebbero concordare su almeno tre cose che ci ha insegnato la pandemia. In primo luogo, dobbiamo salvaguardare la nostra infrastruttura digitale, che è stata la nostra salvezza, ma presto potrebbe essere la fonte di un disastro ancora peggiore della pandemia. In secondo luogo, ogni paese dovrebbe investire di più nel sistema sanitario pubblico. Sembra ovvio, ma a volte i politici e gli elettori riescono a ignorare le lezioni più scontate. Terzo, dovremmo stabilire un sistema globale per monitorare e prevenire le pandemie. Nella secolare guerra tra esseri umani e virus, la linea del fronte attraversa il corpo di ognuno di noi. Se questa linea viene violata in qualsiasi parte del pianeta, ci mette tutti in pericolo. Anche i più ricchi nei paesi sviluppati hanno interesse a proteggere i più poveri nei paesi meno sviluppati. Se un nuovo virus passa da un pipistrello a un essere umano in un villaggio di una giungla remota, nel giro di pochi giorni quel virus potrebbe arrivare a Wall street.

La struttura di un tale sistema globale antivirus esiste già sotto forma dell’Organizzazione mondiale della sanità e di molte altre istituzioni. Ma i suoi fondi sono esigui, e non ha quasi nessun potere politico. Dobbiamo dare a questo sistema più influenza e molti più soldi, in modo che non dipenda interamente dai capricci di politici egoisti. Non voglio dire che degli esperti non eletti debbano prendere decisioni politiche cruciali, queste dovrebbero rimanere appannaggio dei politici. Ma una sorta di autorità sanitaria globale indipendente sarebbe l’ideale per raccogliere dati medici, per monitorare potenziali pericoli, per lanciare allarmi e per stabilire la direzione della ricerca e dello sviluppo.

Molti temono che il covid-19 segni l’inizio di un’ondata di nuove pandemie. Ma se si mettono in atto queste misure, lo shock del covid-19 potrebbe portare a una riduzione delle pandemie. Non possiamo impedire la comparsa di nuovi virus, un processo evolutivo naturale che va avanti da miliardi di anni e continuerà anche in futuro. Ma oggi abbiamo le conoscenze e gli strumenti necessari per impedire che un nuovo virus si diffonda e scateni una pandemia. Se il covid-19 continuerà a diffondersi nel 2021 e ucciderà milioni di persone, o se una pandemia ancora più mortale colpirà l’umanità nel 2030, non sarà né una calamità naturale né una punizione divina, sarà un fallimento umano e, più precisamente, un fallimento politico.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul numero 1400 di Internazionale con il titolo “Gli errori che hanno aiutato il virus”. Compra questo numero | Abbonati. L’originale era apparso sul Financial Times con il titolo “Lessons from a year of covid”.

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