27 aprile 2018 15:05

Alla fine, dopo quattordici anni di instabilità e paura, i kawliya, i rom che vivono in Iraq, hanno ottenuto una terra dove stabilirsi e una scuola per i loro figli. È un piccolo villaggio chiamato Al Zuhur (le rose), 150 chilometri a nord della capitale Baghdad. In questo poverissimo villaggio, quasi 450 persone vivono in casette di fango e canne che affacciano su strade polverose.

Come in altre parti del mondo, i kawliya hanno sempre cercato di tenersi fuori da cose pericolose tipo la religione o la politica, e per guadagnarsi da vivere si sono concentrati sull’intrattenimento. Ma sono stati perseguitati dai tabù. Nel 2003 il loro povero villaggio fu attaccato da milizie islamiche e i kawliya furono obbligati a smettere i loro tradizionali spettacoli di musica e danza. Con l’aiuto delle Nazioni Unite e dell’ong locale I am a human being, è stata riaperta una scuola in una serie di roulotte che accoglie 27 bambini di età compresa tra i dieci e i dodici anni.

Il diritto ai documenti
I kawliya parlano arabo, in una versione dialettale, e sono musulmani, eppure non hanno documenti di identità iracheni. Per ottenere i documenti ufficiali in Iraq bisogna avere un’abitazione e la residenza in una città ben precisa, e queste persone che viaggiano liberamente non possiedono né l’una né l’altra. Così i kawliya non hanno il diritto a proseguire gli studi o a un lavoro fisso. Negli anni settanta il governo di Saddam Hussein cercò di sistemarli in quartieri dentro e fuori le principali città, ma durante gli otto anni di guerra tra l’Iraq e l’Iran si sono spostati, come vuole la loro tradizione, in altri luoghi.

Tra le autorità e gli iracheni in generale è diffusa l’idea che i kawliya tollerino la prostituzione. Per colpa di questo pregiudizio, dal 2003 molti di loro hanno lasciato l’Iraq. Il loro numero è sceso da 250mila a 50mila persone, che vivono in campi in mezzo al deserto. L’ong I am a human being sta facendo pressioni sul governo perché gli conceda la cittadinanza. Ma le domande con cui si scontra sono sempre le stesse: “Chi sono? Da quale città vengono? Dov’è la loro casa?”.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it