08 aprile 2019 18:11

Questa volta non è la siccità a terrorizzare l’Iraq, ma le alluvioni. Centinaia di famiglie sono state costrette a lasciare le proprie case per evitare un’ulteriore catastrofe. Il mio amico Kawa, ingegnere civile della città settentrionale di Sulaymaniyyah mi ha mandato delle foto satellitari per mostrarmi come per la prima volta dal 1988 la diga di Dukan abbia raggiunto la sua capacità massima di sette miliardi di metri cubi di acqua e come l’acqua in eccesso abbia cominciato a fluire da uno degli sfioratori appositamente costruiti.

La furia delle acque ha travolto diversi ponti, in particolare nelle province di Saladin, Kirkuk e Sulaymaniyya, che sono state le più colpite. Lungo il confine in Iran almeno 60 persone sono morte a causa delle condizioni climatiche estreme, mentre finora non si contano vittime in Iraq.

Nella storia dell’Iraq la gente era solita chiamare l’Eufrate “il fiume arrabbiato”. Questa volta ad arrabbiarsi è stato il suo fratello Tigri. Alcuni villaggi lungo il Tigri tra Baiji e Samarra hanno destato particolari timori. L’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, in collaborazione con il governo iracheno, sta programmando la distribuzione di aiuti per 12mila famiglie. Anche alcune province più a valle sono state colpite. Nella provincia di Maysan, nel sudest del paese, il ponte Tayib è crollato a causa delle acque alluvionali provenienti dall’Iran.

Il primo ministro Adel Abdul Mahdi ha tentato di rassicurare la popolazione spiegando che il governo sta gestendo la crisi, accumulando e drenando le acque, e afferma che la situazione è sotto controllo. Ma la gente non si fida delle sue promesse, e guarda il cielo per vedere se ci sono ancora nuvole scure in arrivo. Pregano dio invocando la propria salvezza. Chi vive lungo il tragitto delle alluvioni accusa il governo di averli abbandonati, senza alcun piano futuro per contrastare le siccità o le inondazioni.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it