27 dicembre 2017 09:43

Nei giorni di Natale del 1989, quando il socialismo romeno crollò, nessuno prestò attenzione a ciò che accadeva a Scorniceşti, una cittadina sperduta nelle campagne a ovest di Bucarest.

Gli occhi del mondo erano puntati sulle strade della capitale, dove la folla era scesa in piazza per contestare il dittatore Ceaușescu, su Timișoara da dove giungevano notizie di massacri, e poi su Târgoviște, dove al termine di un processo sommario il tiranno e la moglie Elena furono fucilati da un plotone di esecuzione.

A Scorniceşti, invece, non accadde nulla. Eppure, l’alba della democrazia cambiò per sempre la vita degli abitanti di questa città. Tutti i romeni conoscevano infatti il nome di Scorniceşti: era il luogo di nascita di Nicolae Ceaușescu.

Qui il futuro presidente era nato nel 1918, terzo di dieci figli di un sarto alcolizzato e di una contadina analfabeta. I Ceaușescu abitavano in una piccola casa in legno di tre stanze, il tetto in paglia e la tipica terrazza delle abitazioni della zona: una casetta come tante altre nel villaggio di Tătărăi, che nel nome rivelava l’origine tatara dei suoi abitanti.

Invenzione di una città
Ma già all’età di 11 anni Nicolae aveva lasciato Tătărăi per andare a Bucarest, a bottega dal calzolaio Sandulescu, che lo avrebbe introdotto nei circoli comunisti clandestini della capitale. Di lì in avanti la straordinaria ascesa del futuro “genio dei Carpazi”.

Le informazioni sull’infanzia del dittatore sono scarne e contrastanti. Secondo la propaganda Nicolae era un brillante studente di matematica e un leader naturale che discuteva alla pari con gli insegnanti. Altre voci spuntate dopo il 1989 descrivono invece Nicolae come un bambino introverso, senza amici e preso in giro dai compagni.

Al di là di come siano andate le cose, la memoria del paese d’origine non abbandonò mai il dittatore. Salito al potere nel 1965, Ceaușescu si sbarazzò degli oppositori interni e prese le distanze dai sovietici, e infine trovò anche il tempo di dedicarsi a Tătărăi.

Il primo pensiero di Ceaușescu fu quello di cancellare ogni riferimento alle sue origini tatare

Ceaușescu, in lingua tatara, viene da “ceauşoglu”, ossia “figlio del servo”. Per un dittatore che amava accostarsi a figure storiche come il principe Mircea di Valacchia o il condottiero Michele il Coraggioso, non si trattava certo di un lignaggio onorevole. Il primo pensiero di Ceaușescu fu quindi quello di cancellare ogni riferimento alle sue origini tatare. Tătărăi sparì dalle carte geografiche e insieme ad altri piccoli borghi della zona contribuì a formare quella che sarebbe diventata la nuova città di nascita del presidente: Scorniceşti.

Fu l’inizio dell’età dell’oro per questo tranquillo angolo di Romania su cui piovvero all’improvviso investimenti e onori. Si impiantarono le prime fabbriche: un’industria meccanica, una tessile, un birrificio e un’azienda di conserve. Si inaugurò la più grande cooperativa agricola romena, con vasti allevamenti e annesso macello. Fu anche costruito un ospedale all’avanguardia con i migliori medici della nazione.

Scorniceşti, dicembre 2016. (Daniele Ongaro)

Il villaggio dovette però fare i conti con l’ambizione di Ceaușescu di cambiare il volto della Romania rurale. Il presidente, ispirato dai suoi viaggi in Corea del Nord e dalle teorie dell’amico dittatore Kim Il-sung, decise di “sistematizzare” le campagne, cioè di radere al suolo la metà dei borghi agricoli romeni entro l’anno 2000. Al loro posto sarebbero sorti agglomerati di strade larghe e filari ordinati di condomini tutti uguali, i caratteristici bloc che ancora oggi definiscono il panorama urbano delle città romene. Le vecchie case in legno di Scorniceşti avevano i giorni contati.

“Gli abitanti di Scorniceşti vivevano con i loro animali e avevano piccoli appezzamenti di terra su cui far crescere gli ortaggi”, racconta Alina Mungiu-Pippidi, autrice di un saggio sulla trasformazione del villaggio. “La sistematizzazione creava case con servizi igienici, ma al tempo stesso distruggeva il loro habitat naturale”. Ma l’offerta di alloggi riscaldati con acqua corrente giorno e notte era troppo allettante e spense ogni protesta. Solo una vecchia contadina rifiutò di lasciare la sua casa; altri invece traslocarono nei nuovi appartamenti portandosi dietro le oche e le galline. Nel frattempo decine di ingegneri, quadri tecnici e lavoratori specializzati cominciarono ad affluire a Scorniceşti da ogni angolo della Romania.

Il modello del socialismo romeno
La sistematizzazione avviata nel 1970 procedette senza intoppi fino a quando il nuovo piano regolatore fu sottoposto a Ceaușescu. Il dittatore lo approvò ma si raccomandò di “non toccare la strada che lui faceva per andare a scuola”. Così gli urbanisti cambiarono il piano in gran fretta, dando vita a un incongruo assembramento di fabbriche e file di condomini in mezzo al nulla, collegato al resto della Romania dalla stradina di campagna che Ceaușescu percorreva a piedi da bambino.

Nel villaggio modello del socialismo romeno, che avrebbe accolto le delegazioni dei paesi del patto di Varsavia, non dovevano mai mancare i beni di consumo. I negozi di Scorniceşti traboccavano di prodotti alimentari e merci di origine straniera, come la cioccolata e l’ambitissima Pepsi-Cola, disponibile a Scorniceşti anche quando, per ridurre il debito estero, il cibo fu razionato e a Bucarest si faticava a trovare un chilo di farina.

Solo una casa era stata risparmiata dalla furia delle ruspe, quella dov’era nato il dittatore

Ma a Ceaușescu non bastava dare case, pane e lavoro ai suoi ex compaesani. Il presidente voleva trasformare il suo anonimo villaggio nella culla della cultura romena. In assenza di grandi radici storiche e di tradizioni, il regime si diede da fare per crearle: un gruppo di storici si mise al lavoro per dimostrare l’importanza cruciale di Scorniceşti nella storia della Romania. “Fiero villaggio di lavoratori, i cui abitanti parteciparono a tutti i più importanti momenti storici del paese”, così un manuale dei Giovani Pionieri del 1985 descriveva Scorniceşti.

Il locale ensemble di balli tradizionali Căluşul ingaggiò i migliori ballerini professionisti della Romania e vinse numerosi premi a rassegne internazionali, riuscendo anche a battere i fortissimi russi.

E Scorniceşti fu scelta come sede delle Olimpiadi di storia rumena. Il blogger Adi Dobre ricorda ancora l’emozione e l’onore di quando, a sette anni, la scuola lo mandò in gita a Scorniceşti: un viaggio premio per i migliori scolari che si concludeva con la visita alla vecchia casa di “Zio Nicu”, il segretario del Partito comunista rumeno.

Sì, perché c’era solo una casa che era stata risparmiata dalla furia distruttiva delle ruspe. Era l’umile casetta in legno ai margini del paese dove era nato il dittatore. Ceaușescu amava ritornarci di tanto in tanto, sedendosi con la moglie Elena nel piccolo terrazzo in legno, per ricordare a tutti che anche se ora riceveva gli omaggi dei potenti della terra, da Nixon a Brežnev a Fidel Castro, lui era e rimaneva “il figlio prediletto della classe lavoratrice”.

Signorotti feudali
La Romania di zio Nicu rappresenta una fusione da manuale di comunismo e nepotismo. In trent’anni di potere Ceaușescu piazzò ai vertici dello stato e delle amministrazioni locali una quarantina tra fratelli, figli e cugini. Il peso del clan Ceaușescu nell’apparato di governo era tale che l’acronimo Pcr, Partito comunista romeno, era stato ribattezzato Petrescu, Ceauşescu şi rudele (Petrescu, Ceauşescu e parenti: Petrescu era il cognome da nubile della moglie Elena).

In questa galassia di parenti e familiari che si spartivano i posti di comando come signorotti feudali, Scorniceşti non poteva fare eccezione. Nella città d’origine del conducător c’era una coppia che faceva il bello e il cattivo tempo: Elena e Vasile Bărbulescu detto Lică, rispettivamente sorella e genero di Nicolae Ceauşescu.

Partite truccate
La prima era un’ex insegnante di storia alla scuola agraria di Scorniceşti che diventò ispettrice generale delle scuole della regione di Olt. Ma il suo potere era molto più vasto: era lei, per esempio, a stabilire quali monumenti storici demolire o salvare e a decidere i direttori delle fabbriche di zona. Il marito Lică era invece il segretario regionale del Partito e il capo della Cooperativa agricola di Scorniceşti, e aveva una grande passione per il gioco del calcio.

Lică decise che la piccola compagine del Viitorul Scorniceşti, che languiva in quarta serie, non rappresentava degnamente la città d’origine del capo dello stato. Così la squadra cominciò a scalare rapidamente la piramide del calcio romeno, arrivando in serie A nel 1979. Tutte le altre squadre, naturalmente, sapevano che il Viitorul non era una squadra qualsiasi: nella giornata decisiva per la promozione in massima serie, quando alla squadra di Scorniceşti serviva una vittoria con tanti gol per avere la meglio su un’altra squadra con gli stessi punti in classifica che giocava in contemporanea, la partita terminò con un roboante 18-0 per lo Scorniceşti.

Lo stadio di Scorniceşti, dicembre 2016. (Daniele Ongaro)

Nel 1981 lo Scorniceşti, formato dai migliori giocatori dei vivai romeni, sfiorò la qualificazione in coppa Uefa. Ma il piccolo campo di gioco del paese era insufficiente per le ambizioni del club, e si decise allora di costruire una nuova arena da ventimila posti a sedere per una città che non raggiungeva i diecimila abitanti. Lo stadio, che secondo i suoi progettisti “sarebbe durato per 400 anni”, fu inaugurato nel 1987.

Nel maggio del 1989 un decreto statale innalzò Scorniceşti al rango di città: l’ex villaggio dei tatari raggiungeva l’apice della sua storia. Sette mesi dopo Nicolae Ceauşescu fu arrestato e fucilato, e di colpo tutto cambiò.

Distruzione assoluta
Per prima cosa la gente di Scorniceşti fece a pezzi il collettivismo. Nel vero senso della parola: tutti cominciarono a smantellare e portarsi a casa pezzi di aziende pubbliche, chi un trattore, chi una porta, chi un maiale. “Nel giro di sei mesi”, racconta Mungiu-Pippidi, “nulla era rimasto in piedi. Alcuni testimoni l’hanno paragonato a Hiroshima”. La ribellione ai Ceauşescu, da queste parti, aveva preso la forma della distruzione assoluta.

Chi oggi si spinge a visitare Scorniceşti deve percorrere a zig-zag una strada piena di buche e costeggiare una lunga sequenza di cancelli chiusi e industrie abbandonate. Alcune di queste, che fanno da dimora ai cani randagi, espongono ancora i simboli del socialismo romeno, gli aratri, le stelle rosse e le spighe dorate: i simboli del lavoro che a Scorniceşti non c’è più.

“Sono rimaste due fonderie e una grossa industria tessile”, spiega Ioan Prioteasa, attuale sindaco liberale di Scorniceşti, “oltre ad alcune ditte agricole e meccaniche. Ma queste industrie coprono solo il 40 per cento della forza lavoro disponibile. Un’altra azienda tessile che occupava 400 persone è fallita nel 2017. Cinquecento abitanti sono emigrati all’estero, in Spagna, in Italia e nel Regno Unito”.

Nel 2010 un’azienda lombarda ha deciso di aprire a Scorniceşti una sua filiale per la lavorazione dell’alluminio. Il sindaco spera che altre ditte seguano l’esempio degli italiani, ma gli investitori locali languono e inevitabilmente il suo sguardo si volge al passato. “Nonostante la cattiva fama, la coppia Elena e Lică Bărbulescu aveva aiutato molto la città. Grazie alla vicinanza con il governo centrale avevano portato le industrie della gomma, dei componenti per auto, delle vernici, dei tappeti, dei materiali plastici. Avevano creato la fabbrica tessile, la birreria, l’azienda casearia, quella della carne in scatola, per un totale di oltre tremila lavoratori”.

Quando il discorso cade sul lavoro, Prioteasa non ha paura di elogiare nomi che molti romeni preferiscono dimenticare. Ma in questo villaggio non ci può essere damnatio memoriae: del resto anche dopo la rivoluzione del 1989 i cittadini di Scorniceşti hanno continuato per cinque volte a eleggere sindaci provenienti dalle file del vecchio regime.

In attesa del messia
Oggi la Romania è un paese moderno e quest’anno ha festeggiato il decennale del suo ingresso nell’Unione europea. A Scorniceşti però c’è qualcosa che non è cambiato dai tempi dei Bărbulescu: la scarsa iniziativa privata e l’attesa di qualcuno che venga da fuori a risolvere i problemi.

Chi da anni aspetta un messia è la squadra di calcio che si allena nel grande stadio ai bordi della città. Il campo da gioco è ancora in funzione, ma tutto il resto è in rovina: gli spalti sono pericolanti, le luci rotte e alcune tribune sono state occupate da una decina di famiglie indigenti che le hanno trasformate in abitazione.

Qualche anno fa il ricchissimo uomo d’affari Dinel Staicu era sembrato interessato a prendere in mano la riparazione dello stadio. Staicu, che non ha mai nascosto la sua simpatia per i Ceauşescu, aveva anche in mente di riportare le salme di Nicolae ed Elena nel piccolo cimitero di Scorniceşti. Ma i soldi non sono arrivati, né per lo stadio né per le salme: Staicu, infatti, è stato arrestato e condannato per corruzione, e attualmente è in un carcere di Bucarest.

La casa natale di Nicolae Ceauşescu a Scorniceşti, dicembre 2016.

Ora le speranze si rivolgono a un altro noto miliardario, anch’egli appassionato di pallone e del vecchio regime: Gigi Becali, proprietario dello Steaua Bucarest, la principale squadra di calcio romena, che ha recentemente comprato il mobilio di Ceauşescu per arredare la sua villa. Un artista locale ha celebrato Becali costruendo una statua gigante del magnate sulla strada che porta a Scorniceşti, confidando che prima o poi voglia fare visita alla città.

Ma se la sistemazione dello stadio resta ancora un miraggio, è invece in buone condizioni l’altro simbolo dei Ceauşescu nella città di Scorniceşti: la casa natale del dittatore.

La modesta casetta è stata tenuta in ordine dal proprietario Emil Bărbulescu, nipote del conducător, fino alla sua morte nella primavera del 2016. Oggi c’è incertezza su chi si dovrà occupare in futuro della casa, ma non sono pochi i visitatori che arrivano fin qui per rendere omaggio a Ceauşescu. Nel corso della mia visita ne ho incontrati due, una coppia sulla cinquantina venuta apposta dalla Moldavia per prestare omaggio “al presidente più grande di tutti”. Il busto di Ceauşescu, probabilmente l’unico rimasto in piedi in tutta la Romania, troneggia ancora di fronte all’ingresso della casa.

Un legame da recuperare
Dopo la caduta della dittatura la Romania ha cercato di dimenticare in fretta un passato in cui mezzo milione di suoi cittadini lavoravano per i servizi segreti. Ma come è avvenuto in altri paesi dell’ex blocco sovietico anche qui la nostalgia per l’ordine, la sicurezza e il basso costo della vita ai tempi del comunismo è cresciuta di anno in anno.

Così anche a Scorniceşti, che ha cercato a lungo di nascondere il suo scomodo legame con i Ceauşescu, si inizia apertamente a parlare di come recuperarlo per portare un po’ di sviluppo.

La prima politica di rilievo che ha rotto il tabù è stata la deputata Elena Udrea, che nel 2011, quando era ministra del turismo, ha inserito Scorniceşti in un percorso nei luoghi del regime rivolto alle agenzie di viaggio. Ne facevano parte il palazzo del parlamento, il palazzo del comitato centrale del partito, la villa di Bucarest dove viveva la famiglia Ceauşescu, la caserma della fucilazione di Nicolae ed Elena e infine la casa di Scorniceşti.

Destinatari di questo “circuito rosso” sarebbero stati soprattutto gruppi di turisti cinesi, ma poi non se ne fece più nulla.

Il sindaco di Scorniceşti si augura che il progetto possa ripartire, trasformando la casa in un museo in accordo con i suoi proprietari.

“La casa potrebbe essere una destinazione turistica di grande importanza, non solo per la città ma per tutta la Romania”, conclude, “perché nonostante sia ricordato come un dittatore, Ceauşescu ha fatto anche tante cose buone”.

Si ringrazia Costel Mirea per la collaborazione.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it