03 dicembre 2016 10:40

Guarda la fotografia

Al centro dell’inquadratura campeggia uno svincolo autostradale, di quelli che in gergo si chiamano a quadrifoglio completo. Tutt’intorno, a volo d’uccello, si stendono boschi, prati, un fiume e un’anonima cittadina, resa ancora più irriconoscibile dall’effetto di sfocatura ai margini dell’immagine. Il paesaggio è un’esplosione di verde, per lo più abeti, appena interrotti da larici e faggi in veste autunnale. Sopra uno spicchio di foresta si staglia un simbolo bianco. Archi di circonferenza che ricordano onde radio, come nel logo del wi-fi, ma potrebbe anche essere un orecchio stilizzato, o la curva di una strada a quattro corsie. Subito accanto, una scritta in corsivo recita: “Confronto pubblico”. E una riga sotto, in grassetto, “Passante di Bologna”.

Già alla prima occhiata, avvertiamo che qualcosa non torna, come di fronte a un quadro di Magritte.

Chi mai le ha viste, tante conifere, nella campagna intorno alle due torri?
Stregati dall’enigma, perlustriamo la rete in cerca di autostrade, foreste, svincoli, alberi e verde. Traduciamo le parole chiave in inglese, francese, tedesco. Passiamo al setaccio i risultati e una fotografia s’impone sulle altre. Autobahnkreuz Oberpfälzer Wald. La prospettiva non è la stessa, ma molti elementi corrispondono. Troviamo altre immagini, mappe digitali, e un laghetto artificiale perfettamente rotondo ci conferma che abbiamo fatto centro.

Lo scatto ritrae la foresta dell’Alto Palatinato, in corrispondenza dell’incrocio tra due autostrade, la A6 e la A93. Il paese sullo sfondo non è Casalecchio di Reno e nemmeno San Lazzaro di Savena, bensì Wernberg, Baviera.

Inquieti, ci domandiamo per quale motivo il sito ufficiale per il confronto pubblico sul Passante di Bologna sia illustrato con l’immagine di uno svincolo tedesco.
Considerando che per quattordici anni si è favoleggiato di aggirare Bologna con una nuova autostrada, e si è discusso di quanto a nord costruirla rispetto alla città, si potrebbe pensare che il “confronto pubblico” riguardi la proposta di farle attraversare l’Alto Palatinato, ma la regione tedesca sembra davvero troppo a nord.

E poi quell’autostrada – il cosiddetto Passante nord – appartiene ormai al passato. Il 22 luglio scorso Virginio Merola, sindaco metropolitano da poco rieletto, ha presentato un progetto alternativo. Non più colate di cemento sulla campagna bolognese! Non più consumo di suolo! Ecco a voi il “potenziamento in sede del sistema autostradale e tangenziale”. Battezzato con il nome di Passante di Bologna, altrimenti detto Passante di mezzo. Ovvero l’aggiunta di quattro corsie alla mezzaluna d’asfalto che da cinquant’anni taglia la periferia della città. Il borgomastro, nel suo discorso, ha speso parole suggestive: “rigenerazione urbana”, “svincoli [che diventano] nuove porte della città”, “ridare ai nostri cittadini tempo di vita”, “cantieri [che] hanno bisogno di un’anima”, “dimostrare al resto del Paese che può contare su Bologna”. Ma soprattutto, ha magnificato “uno strumento di democrazia che affrontiamo per la prima volta”: il confronto pubblico.

La fede nel buon governo locale, erede della leggendaria pianificazione riformista degli anni sessanta, si è trasformata nel culto di Asfalto, Mattone, Tondino e Cemento

Stregati da una simile occasione, ci siamo subito diretti alla piazza virtuale del dibattito, il sito passantedibologna.it, dove trovare tutti gli strumenti per “costruire insieme, nella massima trasparenza, la migliore soluzione per la città”.
Ci siamo imbattuti così, per la prima volta, nell’immagine sfocata e traditora dell’Autobahnkreuz Operpfälzer Wald.

Quattro mesi più tardi, osservandola con più attenzione, ci rendiamo conto che quell’istantanea della foresta palatina, con le due scritte bianche che l’attraversano, non racchiude una sola bugia, ma addirittura tre, nella nobile tradizione di Simon Pietro.

Anzitutto, mente dal punto di vista descrittivo, perché quello non è il Passante di Bologna.

Poi mente in senso evocativo, perché le parole “confronto pubblico” suggeriscono una realtà molto lontana dai dodici incontri che sono stati promossi in città.

Infine mente anche sul piano metaforico, perché nessun passante, snodo o svincolo “di Bologna” potrà mai essere verde e boscoso come quell’incrocio di autostrade tedesche.

Smascherare queste tre bugie è l’obiettivo della nostra indagine: nella prima puntata, cercheremo di illustrare cos’è davvero il Passante di Bologna; nella seconda, racconteremo gli incontri del “confronto pubblico”, ai quali abbiamo partecipato, “per vedere di nascosto l’effetto che fa”; nella terza, osserveremo in che modo il progetto di allargamento di autostrada e tangenziale sia stato verniciato di un verde che non è verde, finto come un bosco d’abeti nel bel mezzo della pianura padana.

Sono tre piccole storie locali, eppure siamo convinti che sia utile conoscerle anche fuori dei confini della città, e non solo perché il nodo autostradale di Bologna è uno dei più nevralgici della penisola.

L’Emilia-Romagna, negli ultimi vent’anni, ha ispirato molti cautionary tales, racconti ammonitori su cosa succede al territorio quando i cittadini non si preoccupano delle sue trasformazioni. L’alta velocità Bologna-Firenze, la variante di valico, il viadotto modenese della linea alta velocità Bologna-Milano, sono esempi ormai noti in tutt’Italia tra coloro che si battono per la tutela del paesaggio. Lo stesso può dirsi per alcuni disastri urbanistici, come il cantiere dell’ex mercato Ortofrutticolo di Bologna o la cementificazione selvaggia e ‘ndranghetista nelle province di Parma e Reggio Emilia. La fede nel buon governo locale, erede della leggendaria pianificazione riformista degli anni sessanta, si è trasformata nel culto di Asfalto, Mattone, Tondino e Cemento. Autostrade, megastazioni e ferrovie veloci sono sempre benedette dal clero laico degli amministratori e accettate senza tanti disturbi dalla maggioranza del popolo.

Proprio il Passante nord sembrerebbe la prima, grande infrazione della liturgia.
L’opera è stata contestata dai cittadini e poi respinta dopo tredici anni di manifestazioni e migliaia di firme.

Solo che non si è trattato di una bocciatura. L’infrastruttura è stata respinta più in là, dalla campagna bolognese alla periferia cittadina, e con essa si sono trasferiti anche il danno e la beffa, scaricati soprattutto sui residenti di cinque quartieri.

Non una vittoria degli eretici, quindi, ma sostanza per un nuovo racconto ammonitore, che aiuti a non ripetere altrove gli errori fatti da queste parti.
In fondo, come disse il poeta Miguel Torga, l’universale è il locale senza i muri.

Col trattore in tangenziale

Martedì 11 luglio 1967, a pagina 4 di l’Unità, un articolo firmato da Luciano Vandelli celebrava “l’ultima domenica d’estate in cui Bologna ha dovuto filtrare attraverso i suoi congestionati itinerari cittadini le diaspore motorizzate che convogliano fiumi di automobili verso la riviera adriatica”. Alle 22 del giorno successivo sarebbe entrata in funzione la tangenziale, “un raccordo ancora unico nel suo genere in Italia”, con la caratteristica di “affiancare ai percorsi autostradali del traffico di transito, due nastri complanari, che collegano la viabilità ordinaria”. L’autore del pezzo non mancava di lodare “la felicissima intuizione che più di dieci anni fa fece vincolare dal sindaco Dozza una fascia di centodieci metri di larghezza, lungo quello che oggi è il tracciato della tangenziale nord”.

La lungimiranza di Dozza in quell’occasione è ormai un attributo del suo santino ma, per comprenderla davvero, bisogna aggiungere almeno due dettagli.

Primo, che la tangenziale complanare fu il risultato di un baratto. In cambio di quella, la società Autostrade (allora di proprietà statale) ottenne di costruire l’A14 a tre chilometri da piazza Maggiore, a ridosso della prima periferia, con il vantaggio di un tragitto più breve.

Secondo, che solo quattro anni prima, nel 1963, il vecchio sindaco partigiano aveva celebrato il funerale dell’ultimo tram. Sotto la sua guida, Bologna smantellò 16 linee su rotaia, una rete capillare, elettrica e sostenibile di 75 chilometri e 155 mezzi. La sua previdenza non si spingeva oltre i confini di una certa idea di progresso, secondo la quale il futuro doveva battere al ritmo del motore a scoppio. Da allora, il capoluogo emiliano non ha mai brillato per le idee innovative sulla mobilità, se si esclude una minuscola isola pedonale, in anticipo sui tempi italiani (1968), e la breve stagione degli autobus gratuiti nelle ore di punta (1973-76).

Aprendo più strade si raggiunge un equilibrio negativo dove tutti rallentano e il trasporto privato non è più veloce di quello pubblico

Oggi la città è famosa per il Civis, un filobus a guida ottica, acquistato, mai usato e infine ripudiato perché insicuro, dopo anni di lavori per adattare le strade al suo passaggio. Nel 2013, mentre i 49 esemplari del superfilobus marcivano in un parcheggio di periferia, veniva inaugurata la stazione bolognese dell’alta velocità, progetto vincitore di un concorso internazionale bandito da Rete Ferroviaria Italiana. Tre anni dopo, la stessa Rfi considera l’enorme astronave sotterranea “un esempio critico”, perché “a fronte di grandissimi spazi necessari, la frequentazione dei passeggeri è molto bassa”. Per non parlare del People mover, la navetta per l’aeroporto, tutta su monorotaia soprelevata nuova di zecca, quando un collegamento analogo si poteva ottenere aggiungendo pochi binari alle linee ferroviarie già esistenti. Prima ancora dell’inaugurazione dei cantieri, il People mover si è guadagnato le prime pagine dei giornali con un processo per turbativa d’asta e abuso d’ufficio nell’appalto al Consorzio Cooperative Costruzioni, mentre due mesi dopo l’inizio dei lavori la procura ha aperto un altro fascicolo per favoreggiamento e abuso d’ufficio.

Ma Civis, Astro-stazione e People mover non erano ancora all’orizzonte quando cominciò a farsi strada l’idea di un ritocco alla tangenziale.

Nell’autunno del 1985, Italia Nostra promosse il convegno nazionale “La strada sbagliata. Nuova politica dei trasporti”. L’iniziativa coinvolgeva tre sindaci “dissidenti” e due eroi della pianificazione riformista, Giuseppe Campos Venuti e Pierluigi Cervellati. Nell’affollato cinema di Sasso Marconi, gli intervenuti contestavano la regione Emilia-Romagna per aver approvato il “progetto irragionevole” di un raddoppio appenninico dell’Autosole, quello che allora si chiamava “camionabile” e che oggi conosciamo come variante di valico. Le accuse rivolte ai sostenitori della nuova autostrada erano principalmente due. Quella di insistere su un modello di mobilità basato sulla gomma e quella di voler ottenere, in cambio del via libera alla camionabile, “il raddoppio della tangenziale bolognese”. Anche la loro preveggenza andrebbe ricordata: trent’anni dopo, mille capriole dopo, appena inaugurata la variante si è arrivati proprio al risultato previsto. Il potenziamento in sede del sistema autostradale tangenziale.

I piloni del People mover, Bologna, novembre 2016. (Michele Lapini)

Variante di valico e “allargamento dell’A14 – Terza corsia tangenziale di Bologna” si tenevano a braccetto anche nella convenzione del 1997, quella con cui lo stato si preparava a far cassa vendendo la società Autostrade alla famiglia Benetton. Ed è proprio con la nuova concessionaria che gli enti locali si impegnano, all’inizio del 2002, per ampliare l’A14 con una terza corsia. Poi però cambiano idea e nell’agosto dello stesso anno, firmano l’accordo con il ministro Lunardi che dà il via alla progettazione del Passante nord, cioè la nuova bretella autostradale a nord del capoluogo, pensata per mandare in pensione proprio quel tratto di A14 che un attimo prima volevano allargare. L’apertura del Passante, infatti, andrebbe di pari passo con la banalizzazione della vecchia autostrada, cioè il suo declassamento a strada ordinaria, senza pedaggio, così che le otto corsie dell’autostrada/tangenziale sarebbero tutte dedicate al trasporto urbano, roba da far invidia a Los Angeles.

Il progetto è abbastanza megalomane da far proseliti e si guadagna un posto tra le “scelte fondamentali” della provincia, mentre i sindaci dei comuni attraversati espongono in un documento le loro condizioni.

A quel punto, la fondazione Carisbo (gruppo Sanpaolo) promuove uno “studio di fattibilità per la riorganizzazione infrastrutturale del nodo autostradale tangenziale di Bologna”. Lo studio mette a confronto il Passante nord con “altri tre scenari alternativi”: il Passante sud, ovvero un tunnel sotto i colli della città; la banalizzazione secca, cioè l’apertura, senza pedaggio, dell’autostrada/tangenziale, e infine la sola realizzazione delle opere già previste (variante di valico, tre nuovi caselli autostradali, completamento di alcune arterie provinciali).

Scenari “alternativi” per modo di dire, visto che nascono tutti dalla stessa premessa, quella che il traffico si riduce se aumenta la capacità della rete stradale. Eppure, la tesi contraria è ormai talmente riconosciuta da essersi guadagnata tre nomi diversi. I matematici lo chiamano paradosso di Braess, i trasportologi congettura di Lewis-Mogridge e gli economisti paradosso di Downs-Thomson. Non solo l’aggiunta di strade può aggravare la congestione e aumentare i tempi di percorrenza, ma danneggia anche il trasporto pubblico, che si ritrova ad avere meno utenti, quindi meno risorse, quindi un servizio più scadente, fino a raggiungere un equilibrio negativo dove tutti rallentano e il trasporto privato non è più veloce di quello pubblico.

Lo studio di fattibilità è completato nel maggio 2003 e già alla prima occhiata non brilla per imparzialità. Su diciotto capitoli, dieci sono dedicati al Passante nord e solo quattro al confronto tra le varie ipotesi. La valutazione, come spesso accade, sembra cucita su misura per rivestire decisioni già prese.

I lupi e gli agnelli

Contro quel documento insorgono i cittadini dell’hinterland bolognese, che d’improvviso vedono precipitare su campi e cortili un “muraglione” di quasi quattro metri di altezza, lungo 42 chilometri, accompagnato dal solito corteo di capannoni, centri commerciali e condomini.

Raccolgono cinquemila firme per scongiurare l’assalto, si riuniscono, studiano e in meno di un anno presentano l’Alternativa. Allargare l’autostrada, allargare la tangenziale, ma senza consumo di suolo e potenziando il trasporto su ferro. Tutto in un’unica, magica mossa. Le scarpate del sistema complanare sarebbero colmate per sostenere le quattro nuove corsie e dentro il terrapieno così ottenuto si scaverebbero due gallerie, una per lato, dove stendere i binari di una metropolitana.

Tanto sforzo produce un primo risultato. La provincia istituisce un comitato tecnico-scientifico per integrare lo studio di fattibilità e valutare l’Alternativa. Gli oppositori della nuova autostrada potranno indicare due tecnoscienziati su dieci. I Gruppi spontanei contro il passante nord rimandano l’invito al mittente, giudicandolo “un’apertura solo apparente”. E hanno ragione, ma non si rendono conto che il terreno per piazzare la trappola l’hanno predisposto loro, chiedendo di vagliare una controproposta. Come insegna Fedro, se il lupo e l’agnello si trovano a bere allo stesso rivo, l’agnello deve scappare o preparare una difesa, perché se accetta di discutere col lupo dei suoi diritti di predatore, quello prima o poi troverà una buona ragione per divorarlo.

Al posto del comitato tecnico-scientifico, i Gruppi spontanei invocano un “concorso internazionale di idee”, il classico rimedio contro tutti i mali, ispirato alla favola liberista che “il mercato premia i migliori”. Quindi, dato un problema, se faccio competere tutte le soluzioni possibili, alla fine sceglierò quella ideale. In realtà, sarà anzitutto la formulazione del problema a selezionare le risposte. Poi ci saranno decine di soluzioni equivalenti, con pro e contro, e ci si ritroverà da capo a non saper scegliere, perché prima di dire “vinca il migliore” bisognerebbe aver capito che cosa si intende con quel termine. Una decisione politica che non può ridursi a un confronto di numeri e perizie.

I tecnoscienziati, invece, fanno i loro calcoli a tempo di record. A novembre 2004, lo studio di fattibilità aggiornato e approfondito finisce sulla scrivania del ministro Lunardi. Nell’addendum, i tecnoscienziati promuovono il Passante nord – con il solo voto contrario di Maria Rosa Vittadini – e bocciano senz’appello il “potenziamento in sede”, esprimendo “seri dubbi sull’opportunità di indurre ulteriori profonde e durature sofferenze alle attuali gravi condizioni di vivibilità e di qualità dell’ambiente, riscontrabili nella fascia a ridosso del nastro tangenziale/autostradale. Particolarmente convincenti e decisive, a questo proposito, risultano le considerazioni svolte nel capitolo dedicato all’analisi della qualità dell’aria e del rumore, che avvertono di quali ulteriori danni la proposta del potenziamento in sede porterebbe allo stato attuale dell’atmosfera e del clima acustico nella prossimità del nastro”.

Un giudizio negativo che suona sorprendente, se si pensa che il “potenziamento in sede” oggi si chiama “Passante di Bologna”, ed è il progetto decantato dal sindaco Merola come “un’idea di città che punta a rafforzare fortemente la nostra qualità urbana complessiva”.

Chilometri da odiare

Archiviato lo studio di fattibilità, si passa alla fase operativa. Bisogna sviluppare un progetto e trovare i soldi per realizzarlo. Il governo pensa a un finanziamento pubblico/privato ormai tipico del settore infrastrutture. È lo schema Bot (Built – Operate – Transfer). Il privato paga una parte dell’opera, la costruisce e poi recupera l’investimento riscuotendo il pedaggio fino all’anno X. A quel punto, sazio e satollo, si fa da parte e l’autostrada diventa gratuita. Peccato che lo schema funzioni solo in teoria, mentre nella pratica – chissà perché – l’abolizione della tariffa non arriva mai, e l’infrastruttura si trasforma, per il gestore, in una rendita garantita.

Le prime a farsi avanti per il Passante nord, sono l’italiana Pizzarotti e la francese Eiffage, accoppiate per l’occasione. Ma i tempi si allungano, qualcosa s’inceppa, e ci vogliono due anni prima che il ministro Di Pietro bolli il progetto come “irricevibile sul piano tecnico e giuridico”. “Ognuno tira la giacca dalla propria parte”, si lamenta il ministro. E allora sai che si fa? Altro che Pizzarotti-Eiffage! Questa nuova autostrada è una priorità nazionale, se la deve accollare l’Anas con un finanziamento pubblico, i soldi ci sono, si fa un apposito emendamento nella prossima finanziaria. Che problema c’è?

C’è che l’apposito emendamento non passa in commissione bilancio, suscitando il “rammarico” del premier Romano Prodi.

Negli stessi giorni – siamo a novembre 2007 – con le classiche “indiscrezioni” a mezzo stampa si comincia a nominare, sottovoce, il deus ex machina che può sbloccare la situazione. Autostrade per l’Italia (in sigla, Aspi).

“Autostrade? Bell’idea, ma mica gli possiamo dare il Passante così, senza gara d’appalto. L’Unione europea ci scortica vivi”.
“Dipende. Se la chiamiamo ‘nuova autostrada’ ci vuole un bando pubblico. Se la chiamiamo ‘variante’, possiamo farne a meno. È come se Autostrade pigliasse l’A14 e la spostasse più a nord”.
“Geniale! Così il Passante rientrerebbe tra gli investimenti già previsti sul nodo bolognese. Sarebbe tra gli obblighi della convenzione del 1997. Lo pagherebbero tutto loro!”.

L’idea geniale deve però fare i conti con alcuni guastafeste, che oggi qualcuno chiamerebbe “gufi”, mentre Di Pietro li accusa di voler difendere bruchi, rospi e passerotti.

La stazione bolognese dell’alta velocità, novembre 2016. (Michele Lapini)

Legambiente denuncia il governo italiano alla Commissione europea, sostenendo che l’affidamento diretto ad Autostrade viola le regole sugli appalti. Rifondazione comunista e Verdi minacciano di raccogliere le firme per un referendum contro il Passante, mentre i Comitati di cittadini rinforzano la protesta contro il “muraglione”.

Passano altri due anni, cade il governo Prodi. Di Pietro se ne va dal ministero delle infrastrutture e arriva Altero Matteoli.

Intanto a Bologna la vita continua. A vent’anni dall’ultimo piano urbanistico generale, viene adottato, a luglio 2008, il nuovo Piano strutturale comunale. “Bologna si fa in sette” è il pay off del nuovo documento, e vi si descrive una città formata da sette città. Una di queste è la “città della tangenziale”, ovvero “la sequenza di insediamenti che, addossati alla grande barriera, ne soffrono tutti gli inconvenienti”. La lungimirante “fascia vincolata” del sindaco Dozza negli anni si è riempita di case, palazzi, interi quartieri, con la sola eccezione di qualche “cuneo agricolo”. Così, per “recuperare l’abitabilità” della zona, il piano confida molto nella “scelta di realizzare un Passante autostradale a nord, che comporterà il ‘declassamento’ a sola tangenziale del tratto autostradale bolognese, con una riduzione del traffico e del suo carico inquinante”.

Aggrappandosi al Passante più vicino

Che il “declassamento” immaginato dal comune possa portare davvero a un “recupero di abitabilità” non è affatto scontato. Se un’infrastruttura contamina per decenni la vita di un quartiere, non è addomesticando il mostro che si guarisce l’infezione. Tuttavia, i cittadini della tangenziale sono invitati a immaginarsi un futuro con meno auto e meno inquinamento sotto le finestre di casa, oltre alla promessa di mitigazioni ambientali, inserimenti paesaggistici, ricuciture, corridoi e spine verdi, attraversamenti ciclo-pedonali, tutela, riqualificazione, potenziamento degli spazi di uso pubblico.

Il Passante nord intanto è ancora ben lungi dall’essere approvato, ma in comune tirano dritto come se lo fosse, sperando che si materializzi a furia di nominarlo.
Finalmente, a ottobre 2009, nuntio vobis magnum gaudium: l’Unione europea ha detto sì.

O forse no. ‘Spetta ‘n attimo. Qua dice che il passante di 42 chilometri non gli va bene. Una roba così lunga, come fai a chiamarla variante? Bisogna scorciarlo, bisogna stare più a sud. Seee, più a sud! Se passiamo più a sud tocca convincere soquanti altri sindaci, diventa La storia infinita…

Il risultato è che altri due anni – quasi fosse una scadenza rituale – se ne vanno per discutere se l’Unione europea ha dato il via libera al Passante nord o al Passantino-più-corto-più-a-sud, interrogandosi su quale sarebbe, nel caso, il tracciato di questo Passantino.

Nel novembre 2011, Anas e Autostrade rompono gli indugi e firmano l’accordo per la realizzazione del Passante. Costo previsto: un miliardo e quattrocento milioni. Il tracciato? Non è dato saperlo, ma pare ormai certo che si tratterà della versione ridotta.

Il sindaco di Castelmaggiore, incupito, dichiara che il Passantino “rischia di diventare la nostra Val di Susa”. Ma la battaglia evocata dalle sue parole non è tanto sul territorio del suo comune, quanto all’interno del suo partito, il Partito democratico, tra sindaci e provincia, tra consiglieri e consiglieri, tra pezzi contrapposti dello stesso blocco di potere.

Un indizio evidente della guerra intestina è la nuvola di polvere che si alza a confondere la vista: non ci sono più progetti chiari, intenzioni riconoscibili, studi di fattibilità sbilanciati ma quantomeno consultabili.

Autostrade per l’Italia, nell’estate 2012, consegna agli enti locali un’ipotesi di tracciato, ma il documento non viene divulgato. Trapela giusto a spizzichi e bocconi, una tabella qui, un parere là, qualche frase tra virgolette. Come quella che definisce il Passante nord “un progetto che sembra discendere da scelte di carattere urbanistico, piuttosto che rappresentare un’efficace alternativa all’uso dell’esistente sistema autostradale”. E ancora: i “modesti benefici trasportistici” e i “consistenti impatti territoriali e ambientali” portano alla “conseguente scarsa sostenibilità dell’analisi costi benefici, evidente” per il Passante nord nella sua versione originale, e “molto probabile” anche per il Passantino.

Uno dice: a ‘sto punto non lo faranno di sicuro, ‘sto maccherone di Passante nord.
E invece, nonostante una seconda denuncia di Legambiente all’Unione europea, il 29 luglio 2014 si va tutti quanti dal ministro Lupi a firmare l’accordo per la progettazione del Nuovo-passantino-non-troppo-a-nord.

Maurizio Lupi, però, rassegna le dimissioni prima di vedere uno straccio di progetto e il suo successore, Graziano Delrio, chiede tempo, per valutare bene – dice – quali grandi opere siano davvero necessarie al paese. Alla fine, senza troppe fanfare, il Passante passa. Autostrade fa i compiti delle vacanze, consegna tutte le carte, ma il 4 dicembre 2015 arriva lo stop definitivo: “Dopo consultazione dei sindaci, le parti convengono di non dar seguito all’opera prevista”.

Evviva. La campagna bolognese è salva. Si evita di costruire un’autostrada dannosa, inutile e imposta. Ora magari si valuteranno altre soluzioni, per risolvere il problema delle code in tangenziale. Magari si aspetterà di vedere come se la cava il Servizio ferroviario metropolitano, che doveva andare a regime nel 2005 e invece lo sarà – forse – solo nel 2017. Magari…

Magari un corno. Per la prima volta in tutta questa storia, si decide in fretta, si bruciano i tempi, non si rispettano i due anni della liturgia consolidata.
Il 15 aprile 2016 c’è già un nuovo accordo da sottoscrivere. Le firme sono quelle del ministro Delrio, del sindaco Merola, del presidente della regione Stefano Bonaccini e di Irene Priolo, delegata ai trasporti per la Città metropolitana (ex provincia), nonché sindaca di Calderara di Reno, oppositrice del Passante nord sul suo territorio. Nella nuova giunta bolognese che si insedierà di lì a due mesi, sarà assessora alla mobilità, pur rimanendo sindaca di Calderara. Sull’ultima riga utile del documento, non previsto dall’intestazione e nemmeno dagli appositi spazi per le firme, c’è un sesto autografo – largo allo Sbloccatutto! – : il presidente del consiglio dei ministri, Matteo Renzi. Il titolo è: “Accordo per il potenziamento in sede del sistema autostradale/tangenziale nodo di Bologna”.

Sui motivi di un’intesa tanto rapida si possono formulare solo ipotesi. Certo, la scadenza delle elezioni amministrative ha il suo peso. Il 5 giugno si vota per il sindaco di Bologna e della Città metropolitana. Ma c’è anche un’altra data – poco nota ai più – che i firmatari conoscono di certo. Il 19 aprile 2016, sotto la pressione di tre direttive europee, entrerà in vigore il decreto legislativo numero 50 del 2016, meglio noto come Nuovo codice degli appalti, destinato a riordinare la normativa in materia di contratti, bandi e concessioni nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali. Sai mai che a firmare cinque giorni dopo non ci si vada a inguaiare con qualche nuova disposizione, come per esempio l’articolo 22, sulla trasparenza e il dibattito pubblico.
Quindi via, di corsa, prima si firma, poi si vota, poi si nomina la giunta e infine a luglio, con le valigie in mano e l’afa che addormenta la città, si presenta in comune il nuovo progetto. Merola dichiara: “Abbiamo bisogno di amministratori che sappiano imparare dagli errori e abbiano l’umiltà di dirlo”. Un errore durato dodici anni?

Chissà cosa ne pensano quelli del Comitato per l’Alternativa al passante autostradale nord di Bologna.

Sulle prime, com’è giusto, festeggiano. “Questa è una storia che nasce già/ben quattordici anni fa” – comincia la zirudella composta per l’occasione, ma “il quindici aprile di quest’anno/pare finito l’infinito inganno”. Sul loro sito, scrivono che “il potenziamento in sede è […] la proposta avanzata dal Comitato fin dal 2004”.
In seguito correggono il tiro, sottolineando che “l’allargamento di cui si sta discutendo oggi non è la nostra proposta e rischia di disattendere le ragioni che l’avevano ispirata”. Autostrade per l’Italia, infatti, aggiungerà le quattro nuove carreggiate consumando 20 ettari di suolo (ma guarda un po’!), e le scarpate dell’infrastruttura non diventeranno gallerie ferroviarie. Né ha immaginato l’avveniristica “opzione 2”, una specie di strada-condominio, formata da due tunnel sovrapposti, suddivisi per tipi di traffico (auto, treni, bici), in parte adibiti a parcheggi e ricoperti all’esterno con pannelli fotovoltaici.

Queste ultime osservazioni si possono leggere nel “documento finale” di 149 pagine, pubblicato in ottobre, come “testimonianza dell’impegno di un comitato ‘sui generis’”.

Sui generis? E che vuol dire? Ogni comitato di questo tipo ha le sue peculiarità. Cambiano i territori, cambiano le battaglie, le imposizioni e le opere. Non c’è nemmeno bisogno di precisarlo. Per quale motivo, invece, questo comitato si sente in dovere di enfatizzare la sua differenza?

È venuto il momento di conoscerlo meglio.

Scopri sempre che c’è un’alternativa

Cominciamo dal nome, che non è un dettaglio. A leggere con attenzione i volantini si scopre che il Comitato contro il passante nord non è mai stato un “Comitato contro il passante nord”. Quando debutta, nel 2003, ha il nome plurale di “Coordinamento dei gruppi spontanei contro il passante nord”. In poco tempo aggiunge: “(e proponenti soluzione Alternativa in sede)”. Più che una ragione sociale, un film di Lina Wertmüller: 14 parole più le parentesi. Dal 2005 si stabilizza in “Comitato per l’Alternativa al passante autostradale nord di Bologna”. Qual è il motivo di questa irrequietezza identitaria? Forse lo stesso che lo spinge a definirsi “Comitato sui generis”. Il Comitato è “per l’Alternativa” perché cerca un modo alternativo di praticare il culto di Asfalto, Mattone, Tondino e Cemento, senza mettere in discussione il dogma che per ridurre il traffico sia necessario fare più strade. Ed è “sui generis”, e quindi atipico, perché si differenzia dagli oppositori di infrastrutture per antonomasia, i No Tav:

Per noi il no e basta non esiste: noi portiamo avanti una proposta alternativa sul Passante, quindi noi prendiamo atto che c’è questo movimento [in Val di Susa] non abbiamo però parentele con questo tipo di atteggiamento e, diciamo, questo modo di comportarsi”.

Il Comitato “sui generis” mette tra i suoi princìpi la critica a un “modello di sviluppo superato”. Eppure, tanto quel modello quanto la loro Alternativa si basano sul culto della mobilità privata e del trasporto su gomma, senza metterlo davvero in discussione. Quest’incoerenza rimane sottotraccia fino al 2016, quando l’Alternativa viene fatta propria dalle istituzioni. Allora il Comitato dimentica di essere “sui generis” e si mette a combattere contro gli oppositori dell’allargamento in sede, che si sono dati il nome di No passante di mezzo, e sono soprattutto quei “cittadini della tangenziale” blanditi dal comune pochi anni prima. A quel punto, la critica al “modello di sviluppo”, già prima puramente formale, viene dismessa: “Non è corretto […] gridare all’improvvisazione […] né invocare una visione generale dei problemi. […]. È significativo che ancor oggi i comitati dei residenti non abbiano indicato la loro preferenza tra le ‘tante soluzioni’ a cui fanno spesso riferimento nei loro interventi senza mai elencarle esplicitamente. Diciamo la verità: il nopassantedimezzo in pratica nasconde un torniamoalpassantenord, e senza badare troppo per il sottile, visti gli interventi che vengono applauditi a scena aperta […] sommessamente suggeriamo a questi signori ed ai loro esperti di informarsi meglio, con meno faziosità negli slogan, nell’esposizione e nell’uso dei dati ed essere capaci anche di ascoltare, in un sereno confronto […]”.

Il cantiere dell’ex mercato Ortofrutticolo di Bologna, giugno 2014. (Michele Lapini)

A distanza di pochi anni e chilometri, il Comitato “sui generis” ha dimenticato cosa significa vedersi piombare addosso ettari d’asfalto e non riconosce la propria immagine nello specchio delle vittime del nuovo patto tra Pd e Autostrade. Così, elegge i propri pari – i No passante di mezzo – a principali nemici. Li invita a indicare la loro preferenza, tra le tante soluzioni possibili, e ciò significa, visto il pulpito, a trovare qualcuno su cui gettare addosso l’infrastruttura.

Ed è qui che esce il peggio di questa storia bolognese. Perché le nuove vittime stanno al gioco, si oppongono all’opera lì da loro, cercando di scaricarla su un altro territorio. Certo, non tutti: abbiamo sentito di persona chi, parlando a nome del No passante di mezzo, lo fa senza cedere a questa tentazione. Ma nel complesso la visita al loro sito, passantedimezzonograzie.it, è sconfortante, ed è piena di “soluzioni alternative”. La più gettonata è quella del Passante sud – il buco sotto le colline bolognesi già perforate da variante di valico e alta velocità ferroviaria. Tra i tecnici che la sostengono sulle loro pagine (”i nostri esperti”) spicca un negazionista del riscaldamento climatico, nemico dei “talebani dell’ambientalismo”, che coglie l’occasione per un’invettiva contro i No Tav: “Occorre serietà, equilibrio, elasticità mentale, e non si addice neppure la posizione di chi dice solo e sempre no a qualsiasi intervento […]. In un paese montuoso e sismico e di ineguagliata qualità paesaggistica come la nostra Italia […] la mobilità […] va sviluppata nel sottosuolo. […]. Questo orientamento è già stato positivamente attuato anche nel Bolognese con l’Alta Velocità […], e con la Variante di Valico […] opere necessarie, osteggiate e ritardate a lungo dai soliti negazionisti puri che ne avevano pronosticato anche l’impopolarità, come si ostinano ancora oggi a fare i valsusini”.

La sintonia tra i comitati “nemici” è, su questo punto, perfetta. La postura è identica, ed è quella che predispone al lancio dell’infrastruttura contro qualcun altro. Più indifeso è, meglio è. Non a caso, i No Tav della val di Susa attirano odio e strali da entrambi, perché dimostrano che è possibile e necessario sottrarsi a questa pratica.

Stasera pago io

Uno degli insegnamenti che si possono trarre da questa triste vicenda bolognese è che lo scaricabarile tra territori, una volta partito, infetta la discussione in maniera irrimediabile. Diventa così molto più difficile confrontarsi sui vantaggi e gli svantaggi di un’opera: traffico, inquinamento, rumore, consumo di suolo e paesaggio. Nelle prossime due puntate della nostra inchiesta, vi racconteremo quanto sia stato fuorviante il “confronto pubblico” su questi temi.

Ora, invece, vogliamo affrontare un altro elemento. Anche questo comporta vantaggi e svantaggi, ma come spesso accade, è stato messo in ombra dalle altre questioni.

Il denaro.

Nicholas Hildyard, nel suo ultimo libro su infrastrutture e finanza, Licensed larceny (Manchester University Press, 2016), sostiene che nessuna discussione sull’impatto ambientale di una grande opera è davvero efficace se non si capisce in che misura genera profitti e a vantaggio di chi. Strappare qualche chilometro in più di barriera antirumore è una vittoria di Pirro, se rende accettabile un’autostrada che per molti decenni succhierà ricchezza pubblica per trasformarla in ricchezza privata.

Quindi occorre chiedersi: chi lo paga, il Passante di Bologna? Chi ci guadagna?

L’idea che va per la maggiore, a proposito dei costi progettuali della nuova opera, è condensata nello slogan “paga Autostrade”.

Ma è davvero così? Possibile che una società per azioni “paghi e basta”?

Autostrade per l’Italia gestisce quasi tremila chilometri di strade a pagamento. La sua fonte di reddito sono i pedaggi, la sua prospettiva economica è data dalla durata delle concessioni che le consentono di incassarli. Vediamo, in quattro passaggi successivi, come sono stati fissati entrambi i parametri.

a) Nel 1997, quando la società Autostrade è ancora di proprietà pubblica all’87 per cento, la concessione viene prorogata di vent’anni, “in cambio” di opere come la variante di valico e il “potenziamento del nodo bolognese”. Ciò significa che Autostrade incasserà i pedaggi fino al 2038 e non più “solo” fino al 2018. Inoltre, nella formula con cui si calcola l’importo da richiedere al casello è incorporato un provvidenziale fattore X. “È difficile pensare ad altri casi in cui sia possibile per uno stato dispensare regali tanto generosi, senza che l’opinione pubblica nemmeno se ne accorga, come con la regolazione delle tariffe e l’estensione della durata delle concessioni autostradali”, scrive Giorgio Ragazzi autore di I Signori delle autostrade, (Il Mulino, 2008).

b) Tutta la generosità dimostrata nel 1997 è finalizzata a rendere appetibile la società Autostrade, che due anni dopo viene privatizzata. La quota di controllo di Autostrade passa in mano ai Benetton. Le tariffe remunerano abbondantemente una rete già in gran parte ammortizzata: comincia un travaso di ricchezza – da pubblica a privata – che durerà decenni.

c) Negli anni che seguono il fattore X fa il suo lavoro, che è principalmente quello di consentire aumenti del pedaggio a fronte di investimenti in nuove opere. Ma, “la pluralità delle formule concretamente operanti, la definizione poco precisa di alcune delle variabili considerate e le difficoltà riscontrate nel riesame dell’adeguatezza delle tariffe di base […] hanno creato una certa opacità regolamentare. […] Negli ultimi venti anni i ricavi delle concessionarie sono più che raddoppiati, passando da 2,5 miliardi di euro nel 1993 a oltre 6,5 miliardi nel 2012. Tale crescita è prevalentemente da attribuire alla dinamica delle tariffe unitarie, cresciute più della dinamica generale dei prezzi […]”, come spiega Paolo Sestito di Bankitalia ai deputati dell’8ª commissione, nel 2015.

d) Ad Autostrade per l’Italia non basta un fattore X di aumenti, per quanto generosi. Vuole rimettere in discussione la fine della concessione, e il governo Renzi (e Delrio) sembra essere d’accordo. Dall’inizio del 2016 si parla a più riprese di un’ulteriore proroga della scadenza, dal 2038 al 2045. Sulle prime, il mercanteggiamento ruotava attorno alla costruzione della “gronda di Genova” e del Passante nord. Ora, in luogo del secondo, il governo potrebbe accontentarsi del Passante di Bologna, che ad Aspi costerà la metà.

E poi, il colpo finale. Chi entra o esce dai quattro caselli del nodo bolognese è gravato da un sovrapedaggio di circa 50 centesimi (la tariffa per 6,9 chilometri, un quarto dello sviluppo dell’attuale tangenziale). Il balzello serve a pagare Aspi per la manutenzione della tangenziale e a evitare che sia usata dai mezzi in transito come alternativa gratuita all’A14. Sono però esentati gli automobilisti che percorrono le autostrade entro un raggio di 40 chilometri dal capoluogo. Insomma: chi si muove per piccoli spostamenti e pendolarismo. L’accordo di aprile 2016 stabilisce invece che, dopo il completamento del nuovo Passante, il sovrapedaggio sarà applicato “senza alcuna deroga”, e sarà calcolato in modo differenziato casello per casello. Quindi qualcuno spenderà un euro in più al giorno, per altri l’aumento sarà maggiore. E per la concessionaria? Su 40 milioni di transiti all’anno dai caselli bolognesi, quanti sono i pendolari? E a quanto ammontano i costi di manutenzione della tangenziale?

Luglio, Agosto, Settembre (nero)

I profitti crescenti e i costi ridotti di Aspi, probabilmente determinanti nell’abbandono del Passante nord, non hanno avuto spazio nel dibattito. Le semplici domande su quanto incassi Benetton ai caselli bolognesi non hanno trovato risposta nel “confronto pubblico”, dove invece risuonava la falsa e consolatoria certezza del “paga Autostrade”. Nessun incontro specifico è stato dedicato a questo tema, nei due mesi di ascolto e partecipazione.

Due mesi? Ma non avevano detto quattro?

In effetti sì. In tutti gli interventi, in tutti i materiali e in tutte le propagande del comune, si parla sempre di “quattro mesi di confronto pubblico”: Luglio, Agosto, Settembre, Ottobre. Ma il progetto preliminare, come abbiamo visto, è stato presentato il 22 luglio, a mese già finito. Agosto, Passante mio non ti conosco. Il primo incontro al quartiere San Donnino è datato 7 settembre. L’ultimo, con la presentazione dei “suggerimenti per migliorare l’Opera”, è del 7 novembre. Due mesi esatti.

Del resto, non c’era da aspettarsi molto di più, da un percorso di partecipazione illustrato con una foto fasulla.

I bolognesi hanno risposto con scarso entusiasmo. Chi per pigrizia, chi per disillusione, chi fiutando l’ipocrisia degli interlocutori.

Noi siamo andati a vedere il bluff.

Appuntamento alla prossima puntata.

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