10 febbraio 2022 16:01

Nel 2019 Francesca ha avuto bisogno di un aborto terapeutico, perché il bambino di cui era incinta aveva un’aorta malformata. Lei era a Roma, dove i medici che praticano l’intervento sono solo cinque. Così ha avuto difficoltà a individuarne uno disponibile. In ospedale, il giorno dell’intervento, è stata lasciata senza anestesia.

Un anno dopo, in uno spiazzo del cimitero Flaminio della capitale, è stata trovata una croce con il suo nome insieme ad altre centinaia. “Ritrovarmi crocifissa è stato l’ultima tappa delle torture che una donna deve sopportare per abortire a scopo terapeutico a Roma”, racconta. Quelle croci, infatti, erano state poste per ricordare i feti abortiti, e ciascuna era contrassegnata con il nome della donna che aveva dovuto ricorrere all’interruzione di gravidanza.

Si è trattato di sepolture non autorizzate, secondo Francesca di un tentativo di intimidire le donne che hanno interrotto la gravidanza. E gli ospedali ne sono complici: alcune strutture, anche in altre città italiane, hanno stretto accordi con delle associazioni cattoliche per consentire loro di recuperare i feti e seppellirli con il rito cattolico. Spesso sono queste associazioni a gestire i cimiteri dei feti.

Più di un anno dopo la scoperta del cimitero di Roma, centinaia di croci sono ancora lì, con i nomi delle donne ben visibili.

Il video di Al Jazeera.

Nella foto di copertina: le sepolture dei feti nel cimitero Flaminio a Roma, 2 ottobre 2020. (Alessandro Serranò, Agf)

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