Volevo fare un film su una bomba del futuro. Dovevo documentarmi e così con vari sotterfugi ho partecipato al più grande mercato europeo delle armi, a Londra. Solo gli addetti ai lavori possono entrare: ho avuto un pass segreto, mi sono vestita di nero, ho pettinato i capelli e sono entrata. La prima difficoltà è stata percorrere la passerella d’ingresso circondata da pacifisti che protestavano e mi gridavano contro la verità. Avrei voluto strapparmi la giacca nera di dosso e unirmi a loro, ma ero una spia e dovevo andare avanti. Ed eccoli, i mercanti d’armi: non guerrieri muscolosi decorati di scalpi, ma omuncoli in giacca e cravatta, impiegati della morte, efficienti e anonimi. Negli immensi capannoni questi ometti salivano sui carri armati, manovravano aerei, provavano mitragliatrici, prendevano appunti, compravano con soldi pubblici macchine da guerra. C’erano guardie dappertutto: non ho potuto fotografare la grande torta a forma di cannone, le cabine di realtà aumentata dove si potevano uccidere finti nemici, i soldati mutilati che prestavano il proprio corpo alle dimostrazioni di salvataggio o gli stress-test con i pianti di neonati in sottofondo per allenare la psiche di soldati. Ho solo fatto un piccolo video all’uscita: i pacifisti erano andati via, si vede la passerella all’imbrunire e tanti ometti che tornano a casa dal lavoro, in giacca e cravatta, con i tablet e le valigette, dopo aver comprato semi di morte.

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Questo articolo è uscito sul numero 1550 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati