Nella mia impressione effimera di Napoli, quando ci capito continuo ad avere la sensazione che sia l’unica città italiana in cui se scendo per strada non è per incontrare gli amici della parrocchia e passare delle ore in cui tutto si rapprende in un’aria di prevedibilità. Sono vantaggi del non conoscerla quasi per niente, ma in questo “quasi” c’è la possibilità di un incidente. Non so perché incidente è la prima parola che mi viene in mente quando penso al secondo disco del collettivo napoletano Thru Collected, mentre con il primo visualizzavo soprattutto un diario fatto a pezzi, sparso per strada e con un certo disinteresse verso il punto in cui si andavano ad appiccicare le parole: con dischi così lunghi c’è sempre la consapevolezza che qualcosa diventerà scarto, invece qualcos’altro si trasformerà in un ascolto ripetitivo, o fatto solo per certe occasioni.

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Forse Il grande fulmine è più coeso di Discomoneta, ma preserva un felice disinteresse programmatico, che è il punto di forza delle idee delle musiciste e dei musicisti del collettivo. I pezzi t’invischiano ma la scelta del pezzo dipende dal momento: oggi per me sono Psytrance e Terza stagione. Ti occupano il tempo senza infestarlo di senso, e a volte più che nel bagaglio retorico della trap o dell’it-pop sembra vadano a pescare nei pezzi di band statunitensi senza etichetta che ronzano su emo ed elettronica e accenti sbagliati, un archivio digitale che ti capita solo per caso. Alla fine somiglia alla città in cui il collettivo sta: un posto pieno d’interferenze, dove pure la “musica di merda” (cit.) sembra un’altra cosa. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1541 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati