Roberto Andrés Lantadilla, in arte Kiwi666, ha una passione evidente per la letteratura, come si evince da uno dei personaggi delle sue canzoni: “Ho perso le illusioni tra le pagine di un libro scritte da un marxista con la barba e la giacca marrone / ora l’oscurità la vedi in alta definizione e la mia innocenza te la paghi con i diritti d’autore”. E da qui giù di trascendenza, prezzo del mattone e un “preferirei di no” mutuato da Bartleby lo scrivano di Herman Melville, in un pezzo delizioso (si passi questo aggettivo pieno di saccarina) che si chiama appunto Bartleby. Una canzone con un istinto ritmico che riporta in auge le chitarre inglesi e le batterie newyorchesi dei primi anni duemila e il conseguente buonumore.

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Melville con quella storia di Bartleby voleva fare i soldi e si è ritrovato a creare un classico dell’assurdo, tirato per la giacchetta da Charles Dickens da una parte e da Franz Kafka dall’altra. Volendo fare un parallelismo, Kiwi666 – che ha lavorato al suo disco d’esordio in lingua italiana insieme ad Alessandro Fiori nelle parti di mentore e co-produttore (Y, Trovarobato) – può dirsi egualmente sospinto da diverse correnti del cantautorato italiano. E se da un lato è portato alla rarefazione dell’assurdo, dall’altro rende meglio nei brani più rotondi, con una scrittura piena e una forma musicale più nitida. Come Diavoli in America, una canzone in cui mantiene la sua sensibilità sghemba, non si perde nulla della dimensione “srealista” dei suoi personaggi, ma la sua personalità si fa sentire meglio. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1549 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati