Ci sono libri significativi e di piacevole lettura che però si stanno inabissando. Voglio citare, per esempio, Jonathan Wild il grande di Henry Fielding. Qui non c’è spazio per farne una sintesi, dico solo che Fielding ci ricorda, attraverso le vicende del ladrone Jonathan, che la grandezza non va mai confusa con la bontà, visto che la prima consiste nel portare all’umanità tutti i possibili mali e la seconda nel mitigarli. Jonathan Wild capisce al volo che “bisogna dividere l’umanità in due grandi categorie: quelli che adoperano le proprie mani e quelli che adoperano le mani degli altri”. Lui si schiera con questi ultimi, ritenendo che la vera grandezza (quella di conquistatori, monarchi, uomini di stato e capibanda) consista nell’usare le mani altrui per il proprio esclusivo uso personale, e più mani altrui si adoperano, più si diventa grandi. Naturalmente – intuisce Jonathan – per dare il via alle proprie grandiose imprese ci vuole denaro, ma per averne basta il crimine. Invece per tirare avanti alla grande, bisogna piegare alle proprie necessità “le leggi che sono state fatte per il beneficio e la protezione della società”. La grandezza di conquistatori, monarchi e uomini di stato, se va bene, è premiata con funerali in pompa magna e lutto durevole. I grandi ladroni invece finiscono impiccati per la gola, come capita a Jonathan. Ma Fielding scriveva nel 1743.

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Questo articolo è uscito sul numero 1520 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati