**◆ **Insomma, lo stato sono io, siamo noi o sono gli altri? Il problema si pone tutti i giorni, ma in maniera vistosa quando si tratta di segreti ributtanti, cioè di quelle cose indicibili come la strage di Ustica o altri orrori che gli stati mettono da parte in attesa di tempi in cui per i motivi più diversi saranno considerate dicibili. Per capirci, quando Luigi XIV affermava che lo stato era lui, le infinite porcherie di uno stato nazionale avevano un nome, il suo. E se volevate ficcare il naso nelle segrete cose, fatti vostri, l’assolutismo era l’assolutismo, dovevate mettere in conto la galera o una corda al collo. Certo, non pochi conservatori pensano tuttora che quella esperienza storica andava conservata e riesumata di tanto in tanto sotto mentite spoglie. Ma in genere si è preferita la formula di un bel libro di Piero Calamandrei: lo stato siamo noi. Noi infatti paghiamo le tasse (quando le paghiamo), noi votiamo, noi mandiamo i nostri rappresentanti a occupare ogni strapuntino, noi siamo per interposta persona benemeriti statisti. Ma le scelleratezze? Se lo stato siamo noi, perché delle nefandezze non siamo mai al corrente, anzi la verità la dobbiamo strappare col nostro stesso corpo ai corpi sempre estranei, sempre minacciosi, sempre all’occasione deviati, dello stato? No, lo stato sono gli opachi altri. Noi siamo meno che zero. Forse persino
Luigi XIV era un prestanome.

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Questo articolo è uscito sul numero 1528 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati