Migrare sta perdendo l’ e e l’im . Fino a qualche tempo fa c’era l’emigrante, ora c’è il migrante. Fino a qualche tempo fa c’era l’immigrato, ora non c’è nemmeno il migrato. Difficile dire se è un fatto positivo o negativo. L’emigrante esibiva quell’ e che era un residuo di ex , indicava il moto da un qualche luogo di partenza. L’immigrato esibiva quell’ im , un adattamento di in che indicava un qualche luogo d’arrivo. A quel modo però i due participi, emigrante e immigrato , ricordando di continuo che c’era gente che portava un proprio altrove dentro il nostro qui, finivano per assomigliare fastidiosamente a estraneo , straniero , strano e sì, anche extracomunitario . Forse per questo è prevalso migrante , puro movimento, senza più il segnale di ciò che si è dolorosamente lasciato, senza più il segnale di ciò che faticosamente, angosciosamente, si è trovato. E tutto sommato funziona. Cosa fanno quelle persone? Migrano. Chi è quel signore? Un migrante. Di chi sono quei corpi irrigiditi dalla morte per acqua? Be’, anche se hanno smesso per sempre di migrare, sono di migranti. Eppure la parola, così suggestiva nella sua semplificazione, appare a tratti svuotata. Di cosa? Di umanità, una costruzione complessa sempre prossima a franare. Oggi per troppi c’è sempre meno differenza tra le migrazioni dell’animale uomo e quelle degli altri animali. Anzi queste ultime fanno più simpatia.

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Questo articolo è uscito sul numero 1532 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati