Dietro ai fatti degli ultimi giorni si nasconde l’idea che noi israeliani possiamo fare quello che ci pare, tanto non saremo mai puniti. Continueremo indisturbati. Arresteremo, uccideremo, esproprieremo e proteggeremo i coloni impegnati nei loro pogrom. Visiteremo la tomba di Giuseppe, la tomba di Othniel e l’altare di Giosuè nei territori palestinesi, e naturalmente la Spianata delle moschee (chiamata Monte del tempio dagli ebrei), dove nel fine settimana precedente all’attacco c’erano più di cinquemila ebrei in occasione della festa religiosa del Sukkot.

Spareremo su persone innocenti, strapperemo gli occhi e le picchieremo. Confischeremo, deruberemo, le trascineremo fuori dai loro letti, faremo pulizia etnica, continueremo ad assediare la Striscia di Gaza, e tutto andrà bene. Costruiremo una recinzione terrificante intorno a Gaza (il solo muro sotterraneo è costato tre miliardi di shekel, circa 721 milioni di euro) e penseremo di essere al sicuro. Ci affideremo allo spionaggio informatico dell’esercito e agli agenti del servizio di sicurezza Shin Bet, che sanno tutto. Ci avvertiranno in tempo. Trasferiremo mezzo esercito dal confine di Gaza alla cittadina di Hawara, in Cisgiordania, solo per proteggere il deputato di estrema destra Zvi Sukkot e i coloni. E tutto andrà bene sia ad Hawara sia al valico di Erez verso Gaza.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha una grande responsabilità, ma questa situazione non finirà con lui. Ora dobbiamo piangere per le vittime israeliane, e dovremmo farlo anche per Gaza

In realtà abbiamo scoperto che anche l’ostacolo più avanzato e costoso del mondo può essere superato con un vecchio bulldozer, se chi lo guida ha una forte motivazione. Questa barriera di arroganza può essere attraversata in bicicletta e in motorino, nonostante i miliardi che è costata.

Pensavamo di continuare a scendere a Gaza, spargere qualche briciola sotto forma di qualche migliaio di permessi di lavoro israeliani, sempre condizionati alla buona condotta, e tenere comunque in prigione quelle persone. Faremo la pace con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti e i palestinesi saranno dimenticati fino a che non saranno cancellati, come vorrebbero alcuni israeliani. Continueremo a tenere prigionieri migliaia di palestinesi, a volte senza alcun processo, in gran parte per motivi politici. E non accetteremo di discutere il loro rilascio. Pensavamo di poter continuare a rifiutare qualsiasi tentativo di soluzione diplomatica e che tutto sarebbe continuato così per sempre. Ma ancora una volta ci siamo sbagliati.

Il 7 ottobre quasi duemila palestinesi armati hanno invaso Israele in un modo che nessun israeliano immaginava possibile. Poche centinaia di uomini armati hanno dimostrato che è impossibile imprigionare per sempre due milioni di persone senza pagare un prezzo crudele. Proprio mentre il malandato bulldozer palestinese sfondava la barriera più intelligente del mondo, il 7 ottobre ha fatto a pezzi anche l’arroganza di Israele. E ha distrutto l’idea che sia sufficiente attaccare ogni tanto Gaza con droni kamikaze, e venderli a mezzo mondo, per mantenere la sicurezza.

Il 7 ottobre Israele ha assistito a immagini mai viste prima: veicoli palestinesi che pattugliano le sue città, ciclisti che entrano dalle porte di Gaza. I palestinesi di Gaza hanno deciso di pagare qualsiasi prezzo per un momento di libertà. C’è speranza in questo? No. Israele imparerà la lezione? No. Il giorno stesso parlavano già di spazzare via interi quartieri, di occupare la Striscia e di punire Gaza “come non è mai stata punita prima”. Ma Israele non ha smesso di punirla dal 1948, nemmeno per un momento.

Dopo 75 anni di abusi, ci attende ancora una volta lo scenario peggiore possibile. Le minacce di “spianare Gaza” dimostrano solo una cosa: non abbiamo imparato proprio niente. L’arroganza non sparirà, anche se Israele sta pagando comunque un prezzo alto.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha una grande responsabilità per quanto è successo e deve risponderne, ma questa situazione non è cominciata con lui e non finirà con lui. Ora dobbiamo piangere amaramente per le vittime israeliane, ma dovremmo farlo anche per la Striscia di Gaza.

Gaza, dove i residenti sono soprattutto rifugiati creati da Israele. Gaza, che non ha mai conosciuto un solo giorno di libertà. ◆ dl

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Questo articolo è uscito sul numero 1533 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati