La mattina del 7 ottobre sono stato svegliato dai messaggi di mio padre. “Hai visto cosa sta succedendo? Non capitava una cosa simile dal 1973”. Mi sono precipitato a leggere le notizie e ho capito che si riferiva all’attacco a sorpresa lanciato da Hamas contro Israele. “Stai esagerando”, gli ho risposto lì per lì. Come può l’ennesimo scontro tra Hamas e Israele essere paragonabile alla guerra del Kippur di cinquant’anni fa? Devo ammettere, però, che mi sbagliavo. Nessuno immaginava che Hamas fosse in grado di mettere in piedi un’operazione di questo tipo, bombardando i territori israeliani e infiltrandosi in diverse località, facendo centinaia di morti, migliaia di feriti e prendendo decine di ostaggi. Nessuno ipotizzava un tale tracollo dell’apparato di sicurezza e militare israeliano.

Ci sarà un prima e un dopo il 7 ottobre per gli israeliani, per i palestinesi e per tutta la regione. Questo non vuol dire che i rapporti di forza siano cambiati, ma che gli argini sono saltati. L’offensiva di Hamas rischia di essere percepita come una “grande impresa” in tutto il mondo arabo, dove la superiorità israeliana è un trauma collettivo. Il movimento islamista si presenterà come l’unico difensore della causa palestinese, eliminando un Al Fatah, il partito più importante all’interno dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), già in fin di vita. Il 7 ottobre ha piantato l’ultimo chiodo nella bara degli accordi di Oslo.

Presa in ostaggio dall’Iran, la causa palestinese sarà riportata indietro di decenni, perché le atrocità commesse da Hamas sui civili rischiano di segnare l’opinione pubblica occidentale

Se Hamas ha potuto sorprendere il nemico israeliano, lo deve senza dubbio al suo riavvicinamento al partito libanese sciita Hezbollah e all’Iran. Dopo anni di contrasti a causa della guerra in Siria, il loro rapporto sembra più solido che mai. Lo testimonia il fatto che una parte della dirigenza del movimento si è stabilita in Libano. La decisione dell’attacco quindi è stata presa a Teheran? Il centro di comando dell’operazione si trova in Libano? Per ora queste sono solo ipotesi, che però paiono plausibili. L’operazione porta il marchio del cosiddetto asse della resistenza (libanesi, palestinesi, siriani e altri gruppi sostenuti dall’Iran contrari a Israele). Anche l’Iran ne esce rafforzato, posizionandosi come unico sponsor della causa palestinese e ricordando che qualsiasi accordo di pace dovrà passare per la Repubblica islamica.

L’attacco infatti sembra aver stroncato sul nascere, almeno a breve termine, il processo di normalizzazione israelo-saudita. Il regno non può firmare la pace con un Israele che vuole ridurre in cenere Gaza. L’Arabia Saudita, che sognava di trasformare il Medio Oriente in una “nuova Europa”, si trova intrappolata tra un “asse della resistenza” che minaccia la regione e un Israele governato dall’estrema destra che sogna di cancellare i palestinesi.

Da parte sua il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha vissuto la più grande sconfitta della sua carriera. In Israele è considerato il responsabile di questo fallimento. Come rispondere? Tagliare le ali ad Hamas, eliminando i suoi combattenti, non basterà. E come annientare Hamas nella Striscia di Gaza, così densamente popolata? Israele ha vissuto il 7 ottobre come il suo 11 settembre e la sua risposta seguirà il modello dell’alleato americano. Non avendo nulla da offrire sul piano politico, Netanyahu risponderà scatenando la violenza su Gaza con l’approvazione della comunità internazionale. Non solo questo non risolverà nulla, ma potrebbe anche indebolire l’alleanza dello stato ebraico con i paesi arabi.

Israele inoltre è minacciata dell’apertura di un secondo fronte al confine con il Libano. Hezbollah trascinerà tutta la regione in un’escalation incontrollabile? Il partito sciita e il suo sponsor iraniano saranno tentati di assestare un altro colpo a un Israele indebolito, ma il costo di questa operazione potrebbe essere alto. Neppure Teheran può rischiare la distruzione del Libano senza ottenere qualcosa in cambio.

E la causa palestinese? L’operazione di Hamas porterà alla distruzione di Gaza, all’accelerazione della colonizzazione israeliana e alla morte di migliaia di palestinesi, se non di più. Presa in ostaggio dall’Iran, la causa palestinese sarà riportata indietro di decenni, perché le immagini delle atrocità commesse da Hamas sui civili rischiano di segnare l’opinione pubblica occidentale.

Ed è questo il dramma più grande, oltre alla morte di civili da una parte e dall’altra. Israele uccide e imprigiona palestinesi in totale impunità da decenni e non gli lascia alcuna alternativa oltre alla violenza. Hamas offre al tempo stesso l’unica e la peggiore risposta a questa umiliazione. Hamas è un cancro per la causa palestinese, perché porta avanti un progetto di società reazionario, perché governa la Striscia di Gaza con il terrore, perché antepone gli interessi del movimento a quelli dei palestinesi ed è sempre più dipendente dai desideri di Teheran. Ma niente nutre questo cancro più dell’arroganza di Israele. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1533 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati