Maurizio Fiorino
Autoritratto newyorkese
Edizioni e/o, 224 pagine, 18 euro

Quando sei a New York, come me in questi giorni, finisci a leggere cose sulla città, con il risultato di moltiplicare i modi in cui questa metropoli narcisista riesce a echeggiare ovunque. È il posto in cui un italiano di 23 anni decide di trasferirsi per studiare fotografia e diventare fotoreporter di guerra. La città con la sua enormità, i suoi scarafaggi e le sue illusioni – la più crudele di tutte è che sia una fucina di opportunità – lo inghiottirà vivo. L’intreccio ordinato dell’urbanistica newyorchese fa da sfondo a una storia in cui due giovani uomini fanno in modo confuso i conti con la disillusione, la fame, la prostituzione, e al contempo contano i dollari, i mesi d’affitto, gli uomini che si scopano. Leggendo, a tratti pensi: “First world problems”, problemi di persone privilegiate, per il modo in cui i figli di una generazione tendono a creare traumi per compensare qualcosa che doveva andare meglio ma è andato storto (come trasferirsi a New York a studiare fotografia, appunto). D’altro canto, non puoi fare a meno di rispecchiarti nel loro senso d’impotenza rispetto al proprio futuro, d’incertezza rispetto al proprio presente. Con una scrittura priva di eccessi, ma con precisi affondi intimisti, Fiorino ci porta nelle viscere di una città che è più misera di come si racconta e nelle bassezze di una generazione che ha più speranze di quel che si dica. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1527 di Internazionale, a pagina 83. Compra questo numero | Abbonati