Il 16 giugno un uomo che negli anni settanta trasmise alla stampa documenti riservati sulla sicurezza nazionale è morto all’età di 92 anni a casa sua, vicino a San Francisco. Il 13 giugno un uomo che aveva portato dei documenti riservati nella sua casa di Miami si è rifiutato di restituirli, ha detto una valanga di menzogne ed è stato incriminato per 37 reati. Sappiamo che negli anni settanta Daniel Ellsberg fece trapelare i documenti (in seguito noti come Pentagon papers) nella speranza di fermare la guerra in Vietnam, impedire altre morti e denunciare un governo che per cinque mandati presidenziali aveva mentito solo per poter giustificare l’invio di truppe. Non sappiamo di preciso perché Donald Trump abbia fatto sparire dalla Casa Bianca del materiale coperto dal segreto di stato. Ma finora non sono emerse spiegazioni valide per gli scatoloni che ha ammassato sul pianerottolo, in bagno e ha sparso nel ripostiglio, e poi ha portato nel suo country club nel New Jersey, né per il suo rifiuto di restituire il materiale quando l’Fbi gliel’ha chiesto.

Le ragioni per violare la sicurezza nazionale possono essere tante. Informatori come Ellsberg sono spesso figure di rilievo che agiscono mosse da un principio, per opporsi a specifiche scelte politiche o per farsi paladine della giustizia o del diritto dell’opinione pubblica a sapere la verità. Vogliono richiamare il governo alle sue responsabilità, spesso mosse da una lealtà patriottica.

La morte di Daniel Ellsberg e il rinvio a giudizio di Donald Trump, avvenuti a così breve distanza, ci ricordano che la sicurezza nazionale viene violata a volte da idealisti, a volte da opportunisti

Ellsberg difese strenuamente Edward Snowden, l’informatore che nel 2013 svelò come le leggi approvate dal governo statunitense dopo l’11 settembre avessero permesso di spiare i cittadini americani. Anche Snowden, come Ellsberg, era interno al sistema e valutò con attenzione cosa divulgare e come farlo.

Naturalmente ci sono sempre state delle spie appartenenti a più fronti che hanno ceduto informazioni ad altri paesi in cambio di soldi o, in alcuni casi, perché sedotte da un regime straniero.

Donald Trump, per quanto ne sappiamo, non è mai stato una spia, ma si è spesso lasciato scappare dei segreti di stato e al tempo stesso ha beneficiato di rivelazioni che sembravano fatte apposta per aiutarlo. A giugno e ottobre del 2016 Wikileaks diffuse delle informazioni sottratte illegalmente al Partito democratico con l’intento apparente di favorire l’elezione di Trump. Nel 2020 un avvocato di Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, ha dichiarato a un tribunale britannico: “Il presidente statunitense Donald Trump ha offerto la grazia a Julian Assange se avesse dichiarato che la Russia non aveva niente a che fare con la pubblicazione delle email del partito democratico ottenute da Wikileaks nel 2016”. A maggio del 2017 Trump rivelò informazioni importanti al ministro degli esteri e all’ambasciatore russo durante un incontro alla Casa Bianca. In una foto del vertice lui appare frastornato e gli altri due somigliano a gatti che hanno divorato un canarino.

Ellsberg, che all’epoca del suo gesto epocale lavorava nel settore della sicurezza nazionale ed era autorizzato ad accedere a documenti segreti, consegnò i Pentagon papers a quotidiani che si assunsero a loro volta dei rischi nel pubblicarli. Come ha sintetizzato il New York Times, i documenti che Ellsberg e i suoi complici fotocopiarono di nascosto erano “settemila pagine piene di rivelazioni schiaccianti sui sotterfugi messi in atto da diversi presidenti che avevano abusato della loro autorità, scavalcato il congresso e ingannato il popolo americano” per poter combattere una guerra impossibile da vincere contro un paese lontano che non rappresentava alcuna minaccia per Washington.

In un’email recente in cui rivelava che gli restavano solo pochi mesi di vita, Ellsberg ribadiva: “Quando nel 1969 fotocopiai i Pentagon papers ero sicuro che avrei passato il resto della mia vita dietro le sbarre. Ero disposto ad accettarlo se questo avesse significato affrettare la fine della guerra in Vietnam, cosa che all’epoca sembrava impensabile”. In seguito ammise che la sua azione non aveva fatto terminare la guerra, ma aveva contribuito alla fine della presidenza Nixon, fatto che a sua volta aveva reso possibile la conclusione del conflitto.

Ellsberg dedicò il resto della sua vita a parlare dei pericoli delle armi e di una guerra nucleare, di diritti umani e di altre guerre, compresa quella in Iraq voluta da George W. Bush nel 2003.

La morte di Ellsberg e il rinvio a giudizio di Trump, avvenuti a così breve distanza, ci ricordano che la sicurezza nazionale viene spesso violata, a volte da idealisti, a volte da opportunisti. Daniel Ellsberg è stato l’esempio di una persona che ha cambiato idea, vita e valori: era un ingranaggio nella macchina della guerra e poi rischiò il suo futuro per opporsi a quel conflitto. È stato un grande uomo che ha raccontato la verità. Ora ci tocca affrontare un bugiardo la cui falsità non ha eguali. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1517 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati