Ricordate il romanzo Il ghostwriter (Mondadori 2007), da cui Roman Polanski ha tratto il film L’uomo nell’ombra? Nel libro, l’autore dei discorsi di Adam Lang, primo ministro britannico immaginario chiaramente ispirato a Tony Blair, scopre che il suo capo è stato piazzato dalla Cia ai vertici del Partito laburista e manipolato per proteggere gli interessi statunitensi. All’epoca il New York Observer aveva commentato che la “sconvolgente rivelazione contenuta nel libro” era “così terribile da non poter essere vera, per quanto in realtà spiegherebbe tutto quello che è successo nella storia recente del Regno Unito”.

Riusciamo a figurarci qualcosa di simile, un evento simile, che sappia spiegare sostanzialmente tutto quello che sta succedendo nella guerra tra Israele e Hamas? È facile, basta incamminarsi sulla strada del complottismo e immaginare una telefonata tra Hamas (H) e l’ala più estremista del governo israeliano (I) prima dello scoppio della guerra.

La domanda difficile da fare ora è questa: e se quelli come il leader di estrema destra Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich non fossero solo dei fanatici isolati?

Israele: “Ciao, vi ricordate quando vi abbiamo sostenuti segretamente contro l’ Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp)? Ora è il momento di ricambiare il favore. Perché non ci attaccate e massacrate qualche ebreo vicino a Gaza? Tanto quelli sono amici degli arabi, pacifisti, non ci servono. Qui abbiamo due problemi: le proteste della società civile e la lentezza della pulizia etnica in Cisgiordania. Se ci attaccherete, il mondo rimarrà sconvolto dalla vostra brutalità e noi potremo interpretare di nuovo il ruolo delle vittime, ottenere l’unità nazionale e intensificare la pulizia etnica in Cisgiordania”.

Hamas: “Ok, ma abbiamo bisogno di qualcosa in cambio. Dovete prometterci che risponderete bombardando i civili a Gaza e ne ucciderete migliaia, soprattutto i bambini. Così aumenterà l’antisemitismo in tutto il mondo, il nostro obiettivo finale”.

I: “Nessun problema, anche noi israeliani abbiamo bisogno di un aumento dell’antisemitismo nel mondo per continuare a fare le vittime e agire in totale impunità!”.

H: “Fantastico! Allora speriamo che questo sia l’inizio di un bellissimo odio!”.

Nel saggio del 1919 Un bambino viene picchiato Sigmund Freud analizza la fantasia in cui un bambino ne osserva un altro mentre subisce violenza. Per Freud questa è l’ultima in una catena di tre fantasie, di cui la prima è “Vedo mio padre che picchia un bambino” e la seconda è “Mio padre mi sta picchiando”. Il bambino non è mai stato consapevole di essere la vittima di una violenza, quindi questa informazione dev’essere ricostruita per fornire l’anello mancante tra la prima e l’ultima scena. Non potremmo dire lo stesso della nostra oscena fantasia della telefonata? In fondo è l’incontro inconscio e virtuale tra due estremi: “I bambini palestinesi vengono uccisi a Gaza” e “Hamas ha massacrato i bambini ebrei in un kibbutz vicino a Gaza”.

Naturalmente una telefonata così agghiacciante è solo immaginaria ma, proprio come nel libro Il ghost­writer esplicita la logica perversa della danza della morte in atto tra Hamas e il governo israeliano. Dato che le vittime, in linea di principio, hanno diritto a reagire, la guerra concede allo stato ebraico la possibilità di creare un Grande Israele etnicamente puro, che magari possa includere anche Gaza. Il ministro delle finanze israeliano Bezalel Smotrich (di estrema destra) ha dichiarato che la “migrazione volontaria” dei palestinesi di Gaza è la “soluzione umanitaria preferibile” per l’enclave assediata e per la regione, una tesi che le autorità palestinesi hanno correttamente equiparato alla “pulizia etnica”.

Difficile a questo punto non ricordare la giustificazione offerta nell’ottocento dal presidente degli Stati Uniti Andrew Jackson per l’allontanamento forzato dei nativi americani dalle loro terre: dovevano partire per il loro bene, per evitare di essere massacrati dai coloni bianchi. Ora capiamo perché Israele è allergico allo slogan “Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”. Dal punto di vista israeliano, infatti, dovrebbe essere lo stato ebraico a essere “libero dal fiume al mare”, e nello specifico libero dai palestinesi. Allora la domanda difficile da fare ora è la seguente: e se quelli come il leader di estrema destra Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich non fossero solo fanatici isolati? Forse, semplicemente, sostengono apertamente una politica perseguita dallo stato di Israele, ma coperta da una patina “liberale”.

Anche se Israele dovesse uccidere tutti i leader e la maggioranza dei soldati di Hamas, la minoranza ricomincerebbe a crescere, nutrita dalla distruzione di Gaza

Andiamo fino in fondo nel nostro ragionamento. E se Hamas non potesse essere distrutto come vorrebbe Israele? È probabile, per il semplice motivo che l’organizzazione incarna una resistenza disperatamente violenta verso cui i palestinesi sono stati spinti da decenni d’inefficienza e corruzione all’interno dell’Olp. Anche se Israele dovesse uccidere tutti i leader e la maggioranza dei soldati di Hamas, la minoranza rimanente ricomincerebbe a crescere, nutrita dalla distruzione di Gaza. L’unico modo per scongiurare la resurrezione del movimento islamista è dare alla Palestina la speranza di una vita dignitosa. È per questo che la propaganda israeliana, demonizzando il leader di Hamas, Yahya Sinwar, e dipingendolo come un nuovo Hitler, commette un errore madornale: in questo modo sta rafforzando il mito di un leader malvagio ma carismatico. Se Sinwar sarà ucciso, sopravvivrà nella memoria collettiva come un martire.

Dopo sette giorni di pausa, il 1 dicembre Israele ha ricominciato a bombardare Gaza. L’esercito israeliano ha dichiarato di voler dividere la Striscia in decine di blocchi numerati per consentire evacuazioni mirate nell’affollato sud prima di attaccare. I militari hanno sganciato migliaia di volantini con un codice qr che rimanda a un sito con una mappa di tutte le aree, suddivisa in 620 zone che saranno usate dall’esercito per ordinare le evacuazioni forzate. Questo meccanismo, chiaramente impossibile da applicare, rappresenta uno scherzo crudele. Oltre a scappare dalle bombe, i palestinesi di Gaza devono giocare una “macabra partita di battaglia navale” per avere qualche possibilità di sopravvivere. Non sorprende che un palestinese partito dalla città di Gaza verso sud, abbia dichiarato: “Ormai vogliamo solo morire per non provare nuovamente questa sensazione di pericolo”.

I leader messianici di Israele e Hamas rappresentano due lati della stessa medaglia. La scelta reale non è tra uno o l’altro, ma tra i fondamentalisti di entrambi gli schieramenti, che non sono interessati a un negoziato di pace, e le persone disponibili ad accettare una coesistenza. L’attacco di Hamas e i bombardamenti israeliani hanno creato un tragico stallo che presenta a Tel Aviv una scelta impossibile: l’agognata distruzione totale del movimento islamista non può essere ottenuta e non farà altro che rafforzare l’antisemitismo, ma lo stato ebraico non può neanche fare l’opposto, cioè accettare che l’attacco di Hamas sia stata una rivolta anticoloniale. L’unica via d’uscita da questa situazione è stata illustrata da Efraim Halevy, ex capo dei servizi segreti israeliani, in un’intervista con il documentarista Tim Samuels:

Tim Samuels: “Pensa che stiamo toccando il fondo? È possibile che dal fondo emerga un’occasione per procedere verso qualcosa di più pacifico?”.

Efraim Halevy: “Sì, ma per farlo serve un approccio più approfondito alla causa palestinese”.

Questo approccio, secondo Halevy, sarebbe favorito da una nuova leadership sia in Israele sia in Palestina.

Efraim Halevy: “Quando questo succederà, potremo dare il via a una strategia diversa, e capire come procedere nella giusta direzione”.

Tim Samuels: “È ingenuo parlare ancora di pace e di un piano di pace? Pensa che questo obiettivo sia ancora raggiungibile?”.

Efraim Halevy: “Non possiamo permetterci il lusso di aspettare. Dobbiamo gestire la presenza di ebrei e palestinesi nell’area. Siamo condannati a vivere insieme, ma non voglio credere che siamo condannati anche a morire insieme. Però non possiamo vivere insieme se uno schieramento ha il coltello dalla parte del manico e ignora le richieste dell’altro. Dev’esserci quanto meno l’embrione di un incontro tra le due parti. Sarà difficile e ci sarà un’opposizione feroce. Avremo bisogno di creatività, ma siamo qui per questo”.

Queste frasi ci riportano a quando Brecht, nella poesia Lode al comunismo, definiva il comunismo come la semplicità più difficile da realizzare. La formula enunciata da Halevy sembra semplice, di buon senso, ma per essere messa in pratica ha bisogno di enorme creatività politica. Bisogna ottenere la riconciliazione hegeliana di due opposti: ogni polo dovrebbe percepire nel suo contrario una difficoltà simile alla propria. D’altronde non è forse vero che il terrore provato dai palestinesi riecheggia quello provato dagli ebrei negli anni precedenti al 1948? L’erranza degli uni non fa forse eco a quella degli altri?

La questione non è adottare una posizione neutrale (impensabile) da cui poter comodamente criticare entrambi gli “estremi”, Israele e Hamas. Nessuno dovrebbe accettare lo stallo e l’antagonismo in cui entrambi i fronti sono intrappolati. E non bisogna dimenticare che i due fronti sono rappresentati dagli ebrei in Israele e dai palestinesi, non dai fondamentalisti messianici ebrei e da Hamas.

Non solo mi oppongo ad Hamas, ma trovo triste che la maggior parte degli stati arabi non abbia condannato con assoluta fermezza gli attacchi del 7 ottobre. Una presa di posizione in tal senso non sarebbe certo un segnale di debolezza, ma rafforzerebbe il movimento palestinese.

Potrebbe suonarvi strano, ma nei tempi folli in cui viviamo anche i servizi segreti possono avere un ruolo positivo: a differenza dei politici e degli ideologi, come dimostra Halevy, sono perfettamente consapevoli di quello che sta realmente succedendo. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1542 di Internazionale, a pagina 41. Compra questo numero | Abbonati