02 novembre 2015 17:02

La tecnologia ha reso semplicissimo per gli artisti far arrivare la loro musica al pubblico, come può confermare chiunque abbia un telefono o un computer. Ma ha anche suscitato grandi interrogativi su come far guadagnare i musicisti e le etichette discografiche.

Uno studio del National bureau of economic research, la principale organizzazione statunitense di ricerca economica indipendente, ha analizzato i servizi di streaming, di vendita e di download gratuito per cercare di capire se favoriscono o danneggiano l’industria musicale.

Servizi come Spotify, Apple Music, Tidal e Pandora rappresentano un compromesso tra l’industria musicale e chi distribuisce musica su internet. Invece di comprare un disco o una canzone, gli utenti possono pagare un abbonamento, ascoltare le canzoni senza pubblicità e salvarle offline. Oppure possono non pagare nulla e sorbirsi gli spot tra le canzoni.

In entrambi i casi, i servizi hanno ridotto la pirateria informatica e riescono anche a far guadagnare qualche soldo ai siti web e alle etichette.

Per l’industria discografica è un vantaggio rispetto alla pirateria, che non porta nessun guadagno, ma è svantaggioso rispetto all’acquisto di un intero album. Infatti, con lo streaming le royalty sono nettamente inferiori ai profitti ottenuti grazie alle vendite.

In generale secondo la Recording industry association of America, l’ente che tutela le etichette e i produttori discografici statunitensi, i ricavi dai servizi di streaming sono passati da circa cinquecento milioni di dollari nel 2010 a quasi due miliardi nel 2014.

Lo streaming fa bene alla musica perché fa cambiare idea a chi prima scaricava i brani illegalmente o non li ascoltava affatto

Per capire come le piattaforme di streaming incidono sui ricavi dell’industria, i ricercatori del National bureau of economic research hanno preso in considerazione Spotify, servizio fondato nel 2006 in Svezia e cresciuto in maniera significativa dopo il 2011, quando è arrivato negli Stati Uniti.

Oggi Spotify ha più di 75 milioni di utenti e quasi un quarto di loro paga dieci dollari al mese per l’abbonamento premium, che non ha interruzioni pubblicitarie e permette di ascoltare le canzoni anche quando non si è collegati a internet.

Gli altri tre quarti di utenti, invece, fanno guadagnare l’azienda grazie alla pubblicità. Spotify versa una parte delle sue entrate ad artisti, etichette e produttori per poter inserire i loro brani nel catalogo.

Luis Aguiar e Joel Waldfogel, gli autori della ricerca, hanno scoperto che, almeno nel caso di Spotify, lo streaming non fa guadagnare soldi all’industria musicale, ma al tempo spesso non glieli fa perdere.

Guardando i titoli in testa alle classifiche settimanali e calcolando quanto sono stati pagati i detentori dei diritti, i due ricercatori hanno scoperto che lo streaming aumenta le entrate dell’industria musicale perché fa cambiare idea a chi prima scaricava illegalmente i brani oppure non li ascoltava affatto.

Ma quei ricavi sono ampiamente vanificati dal fatto che lo streaming sta sostituendo l’acquisto di album e il download legale dei brani. E non è tutto: mentre lo streaming è in crescita, il modello di business fatica ad attirare utenti disposti a pagare. Solo da poco Tidal, il servizio creato dal rapper Jay Z e un gruppetto di altri personaggi famosi, è riuscito a raggiungere un milione di abbonati.

Apple Music ha sei milioni e mezzo di utenti, ma bisogna vedere se la cifra resisterà una volta che le persone avranno capito che il periodo di prova gratuito è stato convertito automaticamente in un accesso a pagamento.

La sfida è far pagare per la musica su internet; dunque, per guadagnare, le piattaforme dovranno generare introiti pubblicitari adeguati ed essere in grado di pagare abbastanza da attirare artisti famosi.

Quest’ultimo argomento è finito al centro dell’attenzione quando Taylor Swift, la cantante dalle labbra rosse preferita dagli americani, ha fatto una lavata di capo ad Apple perché non voleva pagarle le royalty nei tre mesi di prova gratuita sulla sua piattaforma musicale: “Tre mesi senza essere pagati è un sacco di tempo, e non è giusto chiedere a qualcuno di lavorare per niente. Lo dico con tutto l’amore, il rispetto e l’ammirazione per tutto quello che ha fatto la Apple. Spero di potermi unire presto a loro nel percorso verso un modello di streaming equo per i musicisti”.

Swift ha trovato la sua strada, ma questo non vuol dire che la musica continuerà a vendere bene e tanto come una volta.

(Traduzione di Alessandro de Lachenal)

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su Theatlantic.com. Clicca qui per vedere l’originale. © 2015. Tutti i diritti riservati. Distribuito da Tribune Content Agency

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