23 marzo 2016 18:40

Cercare di capire il motivo per cui il Belgio è oggi uno dei focolai del terrorismo in Europa significa esaminare diversi pezzi di un puzzle.

Il primo pezzo ha per simbolo la Grande moschea del parco del Cinquantenario, costruita nel cuore di Bruxelles, segno della forte influenza dell’Arabia Saudita, che l’ha finanziata alla fine degli anni sessanta, e della sua versione radicale e conservatrice dell’islam. Un terreno fertile per l’ideologia jihadista. Negli anni novanta lo sceicco francosiriano Bassam Ayachi ha tessuto una solida rete fondamentalista nel quartiere di Molenbeek-Saint-Jean, a lungo indisturbato dalle autorità federali belghe.

Questa “svolta salafita” dell’islam belga non si è limitata a Bruxelles. Ha riguardato anche altre città, come per esempio Anversa, dove è nata nel marzo del 2010 l’organizzazione Sharia4Belgium. Fouad Belkacem, il suo leader oggi in prigione, predicava all’epoca l’instaurazione della sharia nel paese e invocava la pena di morte per gli omosessuali. Il gruppuscolo salafita estremista riuscirà poi a estendere la sua influenza nelle Fiandre, in città come Mechelen e Vilvoorde, da dove molti giovani partiranno per combattere, a partire dal 2012, prima in Iraq e poi in Siria. Oggi dieci città in tutto il territorio belga sono considerate ad alto rischio dal governo federale e beneficiano di programmi di finanziamento per la lotta contro la radicalizzazione dei giovani.

Il secondo pezzo del puzzle potrebbe essere una “I”, come incrocio. Il Belgio infatti presenta molti vantaggi per un’organizzazione terroristica. Geograficamente si trova al centro dello spazio Schengen, dove è consentita la libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea. Anche se i controlli alle frontiere sono stati rafforzati, è ancora abbastanza facile raggiungere la Francia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi e la Germania, dove per esempio l’aeroporto di Düsseldorf offre molti voli economici per la Turchia, permettendo così di arrivare in Siria.

Il mercato illegale delle armi e la burocrazia

Il Belgio è anche uno snodo importante del traffico d’armi. Alla fine degli anni novanta, dopo le guerre nei Balcani e nel Caucaso, la mafia albanese e cecena si sono stabilite in diverse città del Belgio e hanno creato dei canali clandestini di approvvigionamento. È il caso di Charleroi, in Vallonia, dove Amedy Coulibaly, autore dell’attacco a un supermercato kosher di Parigi nel gennaio del 2015, si sarebbe procurato le armi. Tutte queste reti della criminalità organizzata sono utili ai gruppi jihadisti.

Il terzo pezzo del puzzle si potrebbe chiamare “particolarità politiche” del Belgio. Il paese è un rompicapo amministrativo e poliziesco che provoca numerose rivalità linguistiche e regionali. Bruxelles è costituita da 19 comuni, dove ogni sindaco ha poteri di polizia. La capitale belga è ugualmente divisa in sei zone di competenza della polizia federale. Per anni questo groviglio amministrativo ha impedito lo scambio di informazioni e ha ritardato diverse inchieste. Ancora oggi alcuni sindaci delle città belghe dicono di non conoscere precisamente la lista dei giovani a rischio di radicalizzazione residenti nel loro territorio e sottoposti a sorveglianza dalle autorità federali.

Infine, come in altri paesi europei, bisogna aggiungere un ultimo pezzo che riguarda le politiche di integrazione condotte nel paese. I reclutatori dei giovani che vogliono partire per la Siria approfittano del sentimento di frustrazione e di discriminazione provato da molti giovani e promettono ai futuri combattenti di passare dalla condizione di “essere uno zero a quelle di essere un eroe”. Una famiglia di origine marocchina su due è povera in Belgio. E i giovane di origine magrebina e turca hanno tra il 20 e il 30 per cento in meno di probabilità di trovare un lavoro rispetto a quelli di origine differente. Il gruppo Stato islamico sfrutta questo contesto economico.

(Traduzione di Chiara Nielsen)

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